il Fatto Quotidiano, 21 ottobre 2024
Antonello Caporale intervista Marcello Veneziani. Lintellettuale di destra che ce l’ha con Meloni
Ha detto: se fossi al governo vorrei cambiare il mondo.
«O almeno provarci».
Giorgia Meloni vuole rifare la storia.
«Questo governo vuole cambiare il mondo?».
Scusi Marcello Veneziani, lei non sta con i piedi per terra.
«L’ho detto agli amici, al momento, quando mi hanno chiesto una disponibilità di massima: scrivo e sono felice, ho i libri, ho poi il quotidiano che ospita i miei commenti. Faccio quello che mi garba di più».
Veneziani è l’unico intellettuale di destra che è rimasto sugli spalti a guardare la partita.
«Non ha senso farsi massacrare dai media, rovinarsi la vita e la salute per partecipare a un governo dal tratto così continuista. Diciamocelo: in politica estera è suddito dell’atlantismo americano, in politica interna cesella col temperino le misure sociali ed è sempre piuttosto ossequioso con i grandi poteri».
Gli immarcescibili poteri forti.
«Fortissimi!».
Per accettare di essere coinvolto, che cosa avrebbe voluto?
«Le ho spiegato: se non cambiamo la realtà delle cose, almeno tentare di cambiare il volto dell’Italia, che senso avrebbe stare lì? La destra avrebbe dovuto dare il segno della propria tradizione, dei suoi valori. Non rifugiarsi in cantina, non chinare il capo davanti a chi domina la scena internazionale».
A Meloni, l’underdog, però non fa difetto l’ambizione.
«Questo atlantismo così codino, questa voglia di allinearsi a tutti i costi. Devo essere io a ricordare che persino Andreotti e Craxi, nei confronti di Israele e soprattutto della Palestina, hanno fatto e detto di più?».
Non pensavo fosse così scontento.
«Sono convinti che, se alzano la testa, i poteri forti gli fanno la festa: in quattro e quattr’otto l’Italia va a gambe all’aria…».
Comunque dispiace: lei è l’unico intellettuale di destra a non essere convocato in campo.
«Resto in tribuna».
Ci sarebbero, in tribuna, anche Franco Cardini e Marco Tarchi, pezzi da novanta: ma l’anagrafe avrebbe giocato a suo favore.
«Dopo anni di astensione avevo ripreso a votare».
E aveva votato giusto, diamine.
«Fratelli d’Italia!».
Era il suo momento.
«Ma sta vedendo quale sudditanza abbiamo espresso?».
L’Italia antifascista.
«Non mi parli di antifascismo!».
Anche per Gianfranco Fini il fascismo è stato il male assoluto.
«Ma per favore! Solo il diavolo è il male assoluto. Il fascismo è storia complessa: rileggersi De Felice, Del Noce e poi parlare».
Un governo di destra dovrebbe ordinare la lettura di De Felice.
«Civiltà, tradizione, educazione e comunità. Un governo di destra poggia la sua esperienza politica su questi quattro pilastri (poi certo deve saper elaborare i temi)».
Meloni teme il complotto. Ha trascinato a Palazzo Chigi tutta la sua famiglia, e poi gli amici più stretti per difendersi.
«Se fai vedere che ti senti accerchiata è perché sei debole».
Bruxelles è divenuta la seconda casa della premier.
«Quindi io ho detto: vi voglio bene, ma lasciatemi in pace».
L’intellettuale è un mestiere ingrato.
«Tenni una lezione sull’ingratitudine come elemento essenziale della nostra attività».
La sua è solitudine volontaria.
«Definizione di David Hume, grande filosofo».
Scusi ma non mi capacito: tutti in campo a darsi da fare e lei fuori. Quando c’è stato da sostituire Giuli al ministero della Cultura ho pensato: stai a vedere che sbuca Veneziani.
«Non voglio infelicitarmi la vita».
L’Italia è di destra?
«L’Italia non è di sinistra. Agli italiani la sinistra sta antipatica».
Chissà a quanti di destra il governo sta antipatico
«Hai voglia!»
Troppa gente non vota più.
«Manca la convinzione, cioè l’idea che ti trascina, ti acchiappa, ti inghiotte. E manca la convenienza: la clientela è in declino, il potere politico non riesce a curare gli affari delle sue pecorelle».
Veneziani al governo.
«E basta, dai».