Corriere della Sera, 21 ottobre 2024
Il mondo visto da una ragazza di 13 anni
Olivia è una ragazza di tredici anni – chiamarla bambina sarebbe forse inesatto – che guarda il mondo dalla sua stanza, quella nella quale ci troviamo a parlare. Siamo a Testaccio, in un palazzo popolare, e nella piccola camera di Olivia c’è tutto il suo mondo. Due letti a castello, una piccola scrivania, un tavolo con le spalle alla finestra. È un sabato mattina, ammaestrato dalla dolcezza di una temperatura che non ha senso, a ottobre inoltrato. Il suo magnifico, a Roma leggendario, insegnante di terza media, un mio amico, e i suoi genitori, premurosi come bisogna essere, mi hanno detto che Olivia è molto timida, che sarà difficile si racconti, che si allontani da una riservatezza che certe volte sembra impenetrabile.
Cerco di capire, mi sembra importante, come, all’età di Olivia, si vede questo mondo bislacco e ferito. Perché Olivia, 13 anni compiuti ad aprile, ha un suo pensiero sulle cose della vita, ha un suo sguardo, sue idiosincrasie e suoi desideri. Ama ad esempio il suo insegnante, il professor Enrico Castelli Gattinara, che è un educatore moderno e antico insieme, autore di un libro che sembra scritto per Olivia: Il bello di sbagliare. Come vincere l’ansia di commettere errori. «Quest’estate ho pianto pensando che questo sarebbe stato l’ultimo anno delle medie. Poi non so ancora cosa farò, devo decidere. Vorrei però trovare un clima di dialogo come quello vissuto qui. Che mi sta aiutando a superare le mie timidezze, che sono tante, profonde. Io ho sempre avuto paura dell’errore, dell’essere giudicata, dello sguardo degli altri. All’asilo ero già alta per la mia età, e ricordo come un incubo una specie di ballo che dei bambini molto più bassi mi facevano intorno, con una cattiveria precoce che non mi aspettavo, che mi sorprese. Io li vedevo dall’alto e mi spaventavano, mi prendevano in giro per l’altezza che da allora ho considerato un mio errore». Le obietto che la meraviglia della vita è proprio nell’esistere, da subito e per sempre, delle diversità. Fisiche, comportamentali, di pensiero. «Sì, ma io, lo stesso, mi vergogno di tutto. Ho paura di sbagliare, sempre. Ho paura del giudizio. Del giudizio di tutti. Se gioco a pallavolo certe volte rinuncio a gettarmi per prendere una palla per quella paura, la paura di non essere capace, di essere rimproverata. In prima media, giocavamo a palla rilanciata, un mio compagno mi ha urlato contro, dopo un errore. Ancora ci penso, ancora lo ricordo. Sento l’errore come un’ombra che mi segue e che è pronta a precipitarsi su di me. Vorrei non mi importasse del giudizio degli altri, ma invece mi importa, molto».
Le chiedo delle sue amicizie e Olivia mi racconta che vede spesso delle ragazze, due gemelle, che conosce da quando erano all’asilo. Con loro frequenta un corso d’inglese, ogni tanto vengono a casa. Ma in generale, mi dice, i ragazzi fuori da scuola si frequentano poco. Io le chiedo se anche loro, come noi da ragazzi, fanno le feste il sabato, ogni sabato. Mi guarda con un sorriso, quasi di commiserazione, e mi dice che no, si vedono solo per i compleanni. Mi racconta che va poco al cinema, che l’ultimo film visto è «Inside out 2». Domando in quale dei personaggi, tutti stati d’animo, si riconosca. Ci pensa su un momento e poi: «Imbarazzo, ansia, Tristezza». Dell’imbarazzo abbiamo parlato. È l’ansia, il sentimento più diffuso del nostro tempo, che mi interessa. «Il futuro mi dà ansia, molta. Sono stata alla laurea di mia sorella all’università e ho pensato che non ce la farò mai a sopportare stress simili, in quei palazzi enormi, di fronte a persone sconosciute che ti giudicano. Ho timore dell’effetto serra, dell’estinzione delle specie animali, dei ghiacciai che si sciolgono, degli oceani che si alzano. Mia sorella dice che presto la terra sarà un deserto. E poi la guerra, quella di oggi della quale mi parla mio papà, e quella che studio a scuola, studio con passione perché mi affascina e mi impaurisce. Se c’è stata, può tornare». Per questo Olivia ha scritto su un foglietto una frase e l’ha affissa sul bordo del letto: «La pace è come un fiore, se la semini prima o poi sboccia». Quando le chiedo cosa porterebbe della sua camera su un’isola deserta mi indica quel foglietto. «E il terzo personaggio di Inside out, Tristezza, perché, a te, così bella e intelligente, viene di sceglierla?». Mi risponde sorridendo, come farà per tutto il nostro colloquio: «Perché piango. Piango tanto, piango ovunque. Qui, a scuola, per strada. Spesso mi rifugio dietro i miei capelli lunghi per nascondermi. Piango perché sono alta, perché mi sento esposta. Piango pensando di non riuscire a fare qualcosa, piango perché faccio fatica con gli altri. A me piace stare da sola, in un gruppo sono a disagio, non è il posto per me. Quando sono sola non lo sono, mi sembra che le cose prendano anima, si muovano, mi aiutino. In un parchetto dove vado ci sono due alberi, uno di fronte all’altro. Io immagino si parlino, si scambino esperienze, si innamorino l’uno dell’altro. Sono miei amici».
Olivia mi racconta di un bambino che la fa soffrire perché giudica tutto quello che fa. Lei non sopporta le prepotenze e le soperchierie degli arroganti. «Quelli che si credono chissà chi, senza esserlo, e feriscono gli altri. Una volta, al mare, dei ragazzi giocavano a tirare il pallone contro un muro, con rimbalzi violenti. Uno ha centrato me alla testa. Mia madre si è arrabbiata e questi, invece di scusarsi, hanno preso in giro me e, soprattutto, mia mamma. Non ci ho visto più, non potevo tollerare che si prendessero gioco, avendo torto, delle persone più importanti della mia vita, i miei familiari. Allora, per la prima volta, sono esplosa e gliene ho dette di tutti i colori. Dopo, mi sono sentita meglio». Olivia forse non lo sa, ma il suo carattere si va formando in una terra mista, fatta di paure e prove di carattere, tristezza e allegria. «A scuola non mi annoio. Quest’anno ho deciso di andare bene e vado bene» dice con una punta d’orgoglio. Ma poi: «Adoro il brutto tempo, mi piace la pioggia, le nuvole nere». Olivia tu credi? «No, non credo in Dio. Credo nella scienza, nella natura. Per me è la natura il vero dio. In futuro non mi immagino sposata. Perché due persone che si amano devono far diventare i loro sentimenti una carta bollata per di più difficile da stracciare? Però in futuro mi immagino in campagna, con dei bambini da crescere, ai quali insegnare le cose partendo dai miei errori». Le chiedo quanto usi il cellulare. «Troppo, quando studio lo devo mettere in un’altra stanza altrimenti non riesco a non guardarlo. Non sono sui social, mi fanno paura, ma vago come smarrita su YouTube e perdo un sacco di tempo. Per un periodo guardavo dei tutorial del trucco. Le mie compagne venivano a scuola truccate e volevo vedere come si faceva. Ma mi distrae. Sarei superfelice se me lo togliessero, mi sento dipendente. I primi tempi sarebbe dura ma poi starei meglio. A una mia amica, che i genitori hanno sorpreso mentre si scriveva con uno sconosciuto, hanno levato il cellulare per un mese. Quando in campo scuola ce li facevano lasciare lei ha detto a tutti: “Credetemi, si sopravvive benissimo senza”». Prima di lasciarci le chiedo quale sia stato il giorno più bello della sua vita. «Da grande voglio fare l’istruttrice di equitazione. Il momento della mia esistenza in cui sono stata più felice è un giorno in cui la mia maestra a cavallo, una che non alzava mai la voce, mi ha consentito di galoppare senza i piedi nelle staffe. Il mio sogno è correre libera su un cavallo in una prateria, con i capelli al vento e le braccia abbassate. Ecco, quel giorno, mi è sembrato di volare, di toccare un sogno, di sentirmi per la prima volta davvero libera».