Corriere della Sera, 21 ottobre 2024
Le agevolazioni fiscali: chi ci guadagna davvero
Sulle agevolazioni fiscali non ci batte nessuno: in gergo tecnico le voci che permettono di pagare meno tasse si chiamano «spese fiscali». Il loro numero è di 625. Il più elevato tra i Paesi Ocse. Ben 207 riguardano l’Irpef sulle persone fisiche, 110 l’Ires per le imprese, 76 l’Iva, 64 le imposte di registro, bollo e catasto, 63 i crediti di imposta, 35 le accise su energia elettrica, carburanti, alcolici, tabacchi, 34 l’imposta sostitutiva, 14 le donazioni e successioni, e infine 22 che riguardano qualunque cosa. Il minor gettito per lo Stato nel 2024 è di 105 miliardi (su 648 di entrate tributarie previste nel recente Piano strutturale di bilancio). Con l’aiuto degli economisti Leonzio Rizzo e Riccardo Secomandi dell’Università di Ferrara entriamo nel dettaglio.
Le esenzioni
Le esenzioni escludono in partenza alcuni redditi dall’imponibile su cui dobbiamo pagare le imposte. Per esempio i lavoratori altamente qualificati, e da almeno 3 anni residenti all’estero, che si impegnano a trasferirsi in Italia per 5 anni, possono abbattere del 50 per cento la loro busta paga (con il limite di 600 mila euro). Solo questa misura vale 1,3 miliardi all’anno. Poi ci sono le esenzioni per l’assegno unico (5,5 miliardi); le pensioni reversibili e le minime (3,5 miliardi); l’assegno familiare (700 milioni). Vanno ad aggiungersi altre 93 voci di piccola taglia che fanno arrivare il minor gettito per lo Stato a 17,6 miliardi.
Le deduzioni
Invece le deduzioni abbassano il reddito imponibile su cui applicare l’aliquota per l’imposta da pagare. L’elenco è piuttosto lungo: si deduce la rendita catastale dell’abitazione principale (3,6 miliardi di euro); i contributi versati alle forme di previdenza complementari (2,6 miliardi); le spese mediche in caso di disabilità, i contributi per colf, babysitter e badanti (510 milioni); i contributi ai fondi sanitari integrativi fino a un massimo di euro 3.615,20 (720 milioni); gli assegni di mantenimento dell’ex coniuge (260 milioni). E sono previste altre 11 piccole deduzioni Irpef per 110 milioni di euro. Lo Stato sta pagando poi ancora il conto delle deduzioni delle imprese che, fino al 31 dicembre 2019, potevano abbattere la base imponibile Ires togliendo il costo per l’acquisto dei macchinari e di altri beni. La spesa da portare in deduzione poteva essere aumentata dal 40 al 150 per cento rispetto a quella sostenuta. Per esempio a fronte di una spesa di 1.000 per un dispositivo di interconnessione elettronica, si portava in deduzione 2.500, ma siccome queste deduzioni erano spalmabili su più anni, ancora oggi gravano sulle casse statali per 1,6 miliardi. Per le imprese ci sono poi altre 11 deduzioni che valgono circa 400 milioni. In totale il minor incasso per lo Stato è di 9,8 miliardi.
Le detrazioni
Una volta definito l’imponibile, si calcola l’imposta lorda, dalla quale vanno sottratte le detrazioni. Le più comuni sono quelle per i cosiddetti «oneri personali», che permettono di togliere dall’Irpef il 19 per cento delle spese sanitarie (4 miliardi), degli interessi passivi sul mutuo (910 milioni), dei costi per l’istruzione (610 milioni), dei premi assicurativi per morte o invalidità permanente (270 milioni), delle spese funebri (160 milioni); poi da 150 a 300 euro di affitto per determinate soglie di reddito (350 milioni); e le indennità di fine rapporto di importo minimo (210 milioni). Si aggiungono altre 27 detrazioni per 490 milioni di euro.
Il grosso riguarda i bonus edilizi che da soli valgono 41,1 miliardi di mancate entrate. Si va dalle ristrutturazioni alla riqualificazione energetica, dal rifacimento delle facciate fino al Superbonus del 110 per cento. Sulle ultime due voci ci sono stati dei cambiamenti: il bonus facciata è stato eliminato, e il Superbonus è stato ridotto al 70 per cento, ma anche in questo caso il loro effetto sulle casse dello Stato è destinato a continuare per qualche anno. Buona parte di queste detrazioni sono state cedute come crediti di imposta a imprese e banche: vuol dire che le aziende e gli istituti bancari possono vantare un credito nei confronti dello Stato, da utilizzare negli anni in compensazione con le imposte da versare: «Devo 100, ho un credito di 20, pago solo 80». Oggi anche la cessione del credito non è più possibile in seguito al decreto legge 39 del 29 marzo 2024.
Ma esistono altri crediti d’imposta per le imprese, come quelli fino al 40 per cento degli investimenti sostenuti per l’acquisto di nuovi macchinari e che fino al 2019 rientravano nelle deduzioni (3,3 miliardi); le spese in ricerca e sviluppo (1,2 miliardi) e il «tax credit» per le imprese cinematografiche che riconosce ai produttori tra il 15 per cento e il 40 per cento del costo dell’opera (460 milioni). Si aggiungono 34 piccoli crediti di imposta per 740 milioni, e altre 15 piccole detrazioni per imprese dal valore di 300 milioni. Tutte le detrazioni pesano complessivamente sui conti dello Stato 54,1 miliardi.
I vantaggi fiscali
Arriviamo, infine, alle imposte sostitutive, ai regimi speciali e alle riduzioni di aliquota che, per semplificare, significa una tassazione più bassa rispetto all’ordinaria. Qui troviamo la Flat tax per gli autonomi (con l’estensione ai ricavi da 65 a 85 mila euro il minor gettito è di 3,1 miliardi); la Flat tax incrementale (810 milioni); la cedolare secca sugli affitti (2,9 miliardi); le imposte sui finanziamenti di lungo e medio termine (2,5 miliardi); e quelle per i premi di produttività (590 milioni). Il regime speciale sull’Iva per i produttori agricoli (410 milioni). Le accise ridotte sui carburanti per l’autotrasporto di passeggeri (1,1 miliardi) e per gli agricoltori (1,1 miliardi). Sull’imposta di registro per la prima casa l’aliquota è ridotta al 2 per cento (2,4 miliardi); l’imposta catastale e ipotecaria è fissa a 50 euro (1,4 miliardi).
Altri 5 miliardi di perdita di gettito sono spalmati su 40 misure diverse di regimi forfettari, speciali o sostitutivi. E 2,2 miliardi sono suddivisi in 28 piccole riduzioni di aliquote. Perdita complessiva per lo Stato: 23,5 miliardi.
L’«effetto termiti»
Nel corso degli anni i governi hanno infilato di tutto dentro alle agevolazioni fiscali. Spesso per favorire questo o quel gruppo di interesse a puro scopo elettorale. Le voci sono passate dalle 513 del 2018 alle 625 del 2024 con un mancato gettito per le casse dello Stato cresciuto da 54 a 105 miliardi. La Commissione per le spese fiscali del ministero dell’Economia e delle Finanze scrive: «Le spese fiscali creano un’elevata dipendenza da cui è complicato liberarsi. Serve un’azione seria e programmata per restituire trasparenza, semplicità ed efficacia al sistema fiscale».
Le misure fin qui adottate per contenerle sono paragonabili a chi beve il caffè amaro perché è a dieta, ma poi mangia il bombolone con la crema. Con la Legge di bilancio 2020 del governo Conte II oltre i 240 mila euro di reddito non è più possibile detrarre nulla, ad esclusione delle spese sanitarie e dei mutui, mentre tra i 120 e 240 mila euro più cresce il reddito meno si detrae. Con la Legge di bilancio 2024 del governo Meloni viene fissata una franchigia di 260 euro per le detrazioni oltre i 50 mila euro di reddito. In entrambi i casi l’esito per le casse pubbliche è stato marginale: recuperati 31 milioni con il primo intervento e 220 con il secondo. Scrive ancora la Commissione del Mef: le agevolazioni fiscali sono «vere e proprie termiti che possono lentamente indebolire il funzionamento di qualsiasi sistema tributario, lasciando come opzione solo quella di aggiungere ai regimi promossi dal governo precedente, altri regimi di favore». Se il governo Meloni intende distinguersi è venuto il momento di dimostrarlo.