Corriere della Sera, 21 ottobre 2024
Il caso Patarnello, dopo gli attacchi ad Albano
ROMA Non si aspettava questa burrasca, Marco Patarnello. Dopo Silvia Albano, giudice della Sezione immigrazione del tribunale di Roma nonché presidente di Magistratura democratica, il nuovo bersaglio del governo (e della premier Meloni in persona) è diventato lui, 62enne sostituto procuratore generale della Cassazione dopo un lungo trascorso da giudice nella capitale (da ultimo al tribunale di sorveglianza, occupandosi di condannati e esecuzione delle pene), già vicesegretario generale del Consiglio superiore della magistratura. «Toga rossa» pure lui, in quanto aderente a Md. Pensava fosse scontato discutere fra magistrati su come reagire a un attacco così forte della politica alla giurisdizione; quindi alle pronunce dei magistrati, non alle loro idee politiche. Invece s’è scatenato il finimondo.
Sulla mailing list dell’Associazione nazionale magistrati, cioè un luogo di dibattito interno tra le toghe di tutti i colori, Patarnello ha scritto che a differenza di Berlusconi che se la prendeva coi giudici per interessi personali «Giorgia Meloni si muove per visioni politiche, e questo rende molto più pericolosa la sua azione... A questo dobbiamo assolutamente porre rimedio». Parole che gli sono valse l’accusa di «eversione» e l’annuncio di interrogazioni parlamentari. Nonostante la risposta alla critiche fosse contenuta nella stessa mail: «Non dobbiamo fare opposizione politica, ma difendere la giurisdizione e il diritto dei cittadini a un giudice indipendente. Senza timidezze».
Era un’esortazione all’Anm e soprattutto al Csm, che dopo un anno non ha saputo partorire un documento a tutela della giudice catanese Iolanda Apostolico, presa di mira per avere disapplicato una norma del «decreto Cutro» ritenuta in contrasto con la legislazione europea (e ora sottoposta al giudizio della Corte di Lussemburgo, segno che quei dubbi non erano così astrusi). «Dobbiamo pretendere che il Csm apra un dibattito e deliberi una reazione chiara e netta», ha scritto Patarnello. Auspicando «un approccio unitario fermo» dell’Anm, sulla linea «pacata ma piuttosto chiara» espressa dal presidente Santalucia. Un appello a evitare divisioni tra correnti dettate da interessi particolari.
Come Albano, Patarnello preferisce non commentare gli attacchi subiti, turbato dagli esiti probabilmente controproducenti di un intervento a difesa dell’autonomia della magistratura. Tanto più che nelle altre mail toghe di tutti i colori mostravano pari preoccupazione per le reazioni di Meloni e del ministro Nordio alle ordinanze romane; un dibattito tra «addetti ai lavori» sulle risposte più efficaci da dare a politici che accusano i magistrati di non collaborare col governo.
I rapporti
Il segretario di Md:
noi dobbiamo tutelare
i diritti non collaborare con il governo
«Questa pretesa è uno strafalcione istituzionale – spiega Stefano Musolino, procuratore aggiunto di Reggio Calabria e segretario di Md – perché compito dell’ordine giudiziario non è collaborare col potere esecutivo o legislativo bensì tutelare i diritti delle persone. Secondo ciò che prevedono le leggi nazionali e sovranazionali, a partire dalla Costituzione e dai Trattati europei. È ciò che ha sostenuto Patarnello a fronte di una presidente del Consiglio che evidentemente immagina una magistratura non più autonoma e indipendente bensì servente nei confronti di governo e Parlamento. Una visione pericolosa non per una corporazione, ma per i cittadini».
Il caso vuole che tanto Patarnello quanto Albano siano magistrati conosciuti – a Roma e non solo – per non essere tra i più estremisti e «identitari» di Md, nonché per il loro garantismo e rigore; caratteristiche che dovrebbero risultare gradite a una maggioranza e a un governo che invocano il rispetto delle regole e dei ruoli. Dopodiché hanno le proprie idee, come tutti, e intervengono spesso (forse troppo, dice a proposito di Albano un collega che pure condivide ragioni e contenuti dei suoi interventi) sui temi di cui si occupano. «Ma quello che conta è l’indipendenza nei casi concreti che ci troviamo ad affrontare», dice Musolino: «Io che faccio parte dell’Antimafia ho partecipato a innumerevoli convegni sul 416 bis o sulle misure di prevenzione, il che non rende meno indipendenti le mie valutazioni sui singoli casi».
A proposito di indipendenza Silvia Albano, moglie di un noto avvocato romano, già presidente della Camera penale e paladino di tante battaglie a difesa dei diritti di indagati e imputati, ha ricordato in un’intervista del maggio scorso a il manifesto di essere stata bollata in passato dai giornali di destra come una «giudice comunista e pro-migranti» per alcune decisioni e poi indicata, dagli stessi giornali, come esempio di imparzialità quando rigettò la richiesta di risarcimento di un magistrato contro Daniela Santanchè, chiosando: «Non credo che dichiarare che il proprio codice di valori si fonda sulla Costituzione, sulle Carte sovranazionali e sulla necessità di farle vivere nella giurisdizione significhi essere parziali». Un considerazione che può valere, per lei come per Patarnello, anche di fronte agli attacchi di oggi.