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 2024  ottobre 21 Lunedì calendario

Intervista a Chris Steele. Parla di Putin e di cosa succederà se a vincere fosse Trump


NEW YORK – «Se Trump vincerà le elezioni, mi aspetto una visita di Putin alla Casa Bianca nel giro di sei mesi. Allora la premier italiana Meloni si troverà davanti a un gigantesco problema politico, per decidere se e come invertire la rotta sull’Ucraina». A dirlo è Chris Steele, ex capo del Desk Russia nell’MI6, la Cia britannica, che era stato anche l’autore del famoso dossier su Trump, di cui ora svela i dettagli nel libroUnredacted.
Lei scrive che il candidato repubblicano è la più pericolosa minaccia interna all’Occidente, perché favorirebbe il “Nuovo Disordine Mondiale” voluto da Putin. Lo ritiene ancora un “asset” di Mosca?
«Dipende da come definisci la parola “asset”, ma certamente sostiene tutte le politiche preferite da Putin».
Nel libro spiega che il dossier era stato pubblicato senza il suo consenso, ma aggiunge che molte accuse sono state confermate da altre fonti, come il “Cody Shearer memo”. Cos’è?
«Un dossier emerso durante gli interrogatori con gli investigatori di Mueller sul “Russiagate”. Poi ci sono le mail che Michael Cohen, allora avvocato di Trump, si era scambiato con un russo georgiano che lavorava col governo, sulle voci di kompromatdi natura sessuale. Tutto ciò dimostra che altre fonti avevano rivelato le stesse cose, prima di noi».
Quindi il video scandaloso di Trump non è stato trovato perché non è stato cercato?
«Se i servizi russi hanno questo
kompromat lo tengono chiuso a tripla mandata. Forse lo scopriremo dopo ilcollasso del regime, che ritengo inevitabile, come era accaduto con l’archivio Stasi».
Lei sostiene che esistono prove del viaggio di Cohen a Praga per coordinarsi con i russi nella campagna del 2016.
«I giornalisti del gruppo McClatchy hanno scritto che ci sono tracce dei suoi cellulari in Cechia all’epoca».
Perché ritiene inevitabile il collasso del regime?
«Diversi elementi lo minacciano.
Durante la rivolta di Prigozhin, Putin era scappato da Mosca a San Pietroburgo. Resta un mistero perché Prigozhin si sia fermato. Non dico accadrà domani, ma il Cremlino è una corte medievale molto vulnerabile a un rapido collasso».
Perché scrive che Le Pen è la principale minaccia tra gli europei?
«Ha posizioni nette contro la Nato, la Ue, l’ordine internazionale basato sulle regole, e nel 2017 ha ricevuto un prestito di diversi milioni di euro dalla First Czech Russian Bank. Le sue finanze andrebbero indagate».
A pagina 128 ricorda il rapporto Charlemagne, in cui aveva denunciato tangenti e favori anche in Italia. Può spiegare?
«Certo, le influenze russe sono state significative. Igor Sechin, stretto alleato di Putin, è stato molto attivo da voi».
Ha sentito la conversazione dell’emissario della Lega Gianluca Savoini all’Hotel Metropol?
«Sembra parte della questione dei finanziamenti russi ai partiti europei estremisti. Interferenza straniera, dubito sia legale».
In Italia c’è stata un’inchiesta,
senza risultati.
«Se volete scoprire la verità, dovete reclutare fonti di intelligence nel regime russo. Le autorità di Mosca non collaborano più in alcun mondo con i governi occidentali».
Il dipartimento di Stato ha denunciato che la Russia ha speso almeno 300 milioni di dollari per influenzare le elezioni europee.
«Non ho motivo di dubitarne. Fa parte della guerra asimmetrica di Putin, per dividere l’Occidente, eliminare le sanzioni e prevalere in Ucraina. Ma sembra aver fallito in Italia, perché la premier Meloni ha preso posizioni forti a favore di Kiev».
Crede sia sincera?
«Non ho sentito voci di particolari rapporti con la Russia e prendo per buone le sue dichiarazioni. Altri nel suo governo, incluso il vicepremier, hanno scelto posizioni diverse».
Teme che Meloni cambi linea, se vincerà Trump?
«È difficile prevederlo, ma sarebbe un’inversione a U. Se Trump vincerà, è plausibile che Putin vada a Washington nel giro di sei mesi. Ciò porrà enorme pressione su Meloni».
Nel libro lei parla della sua collaborazione con Mike Gaeta, capo dell’Fbi a Roma. Il segretario alla Giustiza Barr e il procuratore Durham erano venuti in Italia per indagare su un presunto complotto ordito da lui e altri agenti per fermare Trump.
«Sciocchezze, infatti l’inchiesta di Durham è fallita. In quella occasione, invece, gli italiani rivelarono possibili reati di Trump che non sono stati indagati. Sarebbe giusto sapere quali».