Robinson, 21 ottobre 2024
Fermate le rotative!
Il noir tradizionale americano, a leggerlo oggi, sembra una specie di scatola magica. La sua produzione, che va dai padri fondatori fino agli anni Settanta, fa l’effetto di una macchina del tempo. Ti trasporta dentro un’epoca tramontata, ormai lontana quanto i salotti di Proust, nella quale c’erano ancora lettere postali, telefoni a disco, macchine da scrivere. Non per questo ha perso mordente, grazie a un approccio diretto e a un linguaggio duro. Anzi, il contesto vintage rende persino più taglienti certi temi universali.
Elliott Chaze, alla vecchia scuola dei duri, è affiliato di diritto. Il mio angelo ha le ali nere del 1953 è, secondo il Washington Post, uno dei dieci migliori noir di tutti i tempi. Questo scrittore nato in Louisiana, giornalista per trent’anni, rivela un passo in più che aggira i confini temporali, come testimonia Goodbye Golia, appena pubblicato da Mattioli 1885.
È il primo capitolo di una trilogia che vede protagonista il giornalista Kiel St. James. Kiel lavora al quotidiano Chatering Call e sarà lui a trovare, in redazione, il cadavere del direttore John Robinson. È stato brutalmente assassinato ma non suscita pietà: «L’unica cosa degna della sua attenzione parevano essere i suoi stivali Justin e i suoi cappelli Moose River in stile film western. Li portava alla maniera di un indiano dell’Oklahoma che ha fatto successo col petrolio. Sommata alla sua altezza normale e ai tacchi degli stivali di pelle di lucertola, la parte superiore del cappello doveva gravitare quasi due metri al di sopra del pavimento».
Il direttore era odiato da ogni dipendente. «Qui aveva solo nemici», dirà Kiel al capo detective Orson Boles, chiamato a indagare sul delitto. Il che confonderà non poco le piste battute dal poliziotto, che tornerà – insieme alla fidanzata del protagonista, Crystal – anche nei due successivi Mr. Yesterday del 1984 eLittle David dell’85.
Così in redazione tutti sospettano di tutti. Ma ecco, accanto all’intreccio, attivarsi la macchina del tempo. Nel giallo c’è la vita quotidiana di un giornale, non ancora radicalmente cambiata dall’era digitale: la sala impaginazione con i tavoli inclinati e illuminati, il vetro cerato dove venivano posizionati i layout, il nastro perforato delle telescriventi, le strisce stampate pronte a essere incollate nelle pagine, le cartucce di plexigas che uscivano con violenza dai tubi pneumatici, con dentro le bozze degli articoli, «lanciate come proiettili di plastica verso la sezione impaginazione, a una velocità da romperti un dito». «Un Triangolo delle Bermude» lo definisce Chaze: «Un certo numero di articoli vi scomparivano misteriosamente. Alcuni riemergevano in luoghi inaspettati, di altri si era persa ogni traccia».
Il cuore del vecchio mondo rimane però la rotativa: la colossale macchina da stampa Goss viene descritta alla stregua di un drago da ottanta tonnellate, che sputa ventimila copie di giornali l’ora, i cui addetti sono ricoperti d’inchiostro, come i fabbri del Medioevo di caligine. Non a caso sarà proprio al frastuono di una rotativa che, nel celebre film noir L’ultima minaccia del 1952, il giornalista Humphrey Bogart pronuncerà la battuta senza tempo: «È la stampa, bellezza, e tu non puoi farci niente».
Chaze ( nato nel 1915, morto nel 1990) conosceva i giornali più delle sue tasche. Prima di Pearl Harbor lavorava già all’AssociatedPress di New Orleans, poi fu paracadutista nella Seconda guerra mondiale e ne trasse un memoir di scarso successo, nonostante la lode di Hemingway. Riprese così il vecchio lavoro: vent’anni di cronaca, dieci da editor per i quotidiani, fino alle più sofisticate collaborazioni con Cosmopolitan e New Yorker.
Andato in pensione si voterà alla scrittura. L’esordio, il già citato Il mio angelo ha le ali nere ( anche questo edito da Mattioli 1885), storia di un ex detenuto e di una prostituta d’alto bordo, convinse l’aspirante scrittore francese Jean-Patrick Manchette a diventare un giallista. Anche il secondo libro, Wettermark del ’ 69, fu ben recensito, così come la stessa trilogia di Kiel St. James. Ma presto piomberà nel dimenticatoio.
Oggi è in corso una rivalutazione. Il collega Bill Pronzini ha celebrato Chaze quale autore «ironico, nostalgico, irriverente, ma soprattutto maestro della prosa». Non era mai stato uno scrittore da paperback (i vecchi gialli da edicola) tipo Jim Thompson. Piuttosto, viene paragonato a James Cain e James Crumley per asprezza e a Cornell Woolrich e David Goodis per profondità di ambienti e personaggi. Nelle sue pagine si avverte il sapore degli stati americani del Sud, compresi i riferimenti al fiume Atchafayala, scenario del texano James Lee Burke per le storie del detective Dave Robischeaux, un altro figlio della Louisiana proprio come Chaze.