Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  ottobre 21 Lunedì calendario

«Mio fratello Pablo Escobar ha fatto solo del bene»

«Vietare il nome di mio fratello Pablo Escobar sarebbe come gettare altra benzina sul fuoco, aumenterebbe il sentimento di devozione che molti provano per lui e dimostrerà, una volta di più, la debolezza dei governi che non sono stati in grado di fermare il consumo di droga. Perché, senza consumo, non ci sono affari».
Marina Escobar Gaviria è la sorella prediletta del più famoso narcotrafficante del mondo. Oggi è una tranquilla signora che, dopo un lungo inseguimento telefonico, decide di risponderci dall’altra parte dell’oceano Atlantico con quel pizzico di diffidenza che la sua natura e la storia della famiglia impongono. Il suo contatto Whatsapp la mostra sorridente sullo sfondo di una cascata, immersa nel verde. La parlantina è rapida così come la memoria.
Libero l’ha contattata per un commento sulla sentenza della Corte di giustizia europea che, nei mesi scorsi, ha vietato in tutto il continente la registrazione di marchi che richiamino direttamente o indirettamente il trafficante di Medellín perché – c’è scritto nella sentenza – contrari all’ordine pubblico e al buon costume.
TENACIA
Marina Escobar è tenace nel difendere la memoria di Pablo sfoderando la narrazione che, da trent’anni, i familiari e i negazionisti hanno adottato per giustificare l’ingiustificabile: le buone intenzioni dietro la strategia narcoterroristica di un criminale che voleva diventare presidente della Repubblica colombiana. «L’État, c’est moi» («Lo Stato sono io») avrebbe potuto dire (e forse l’ha detto) don Pablo, rubando le parole a Luigi XIV. La polizia gli ha impedito la scalata al potere politico con un proiettile in fronte mentre fuggiva sui tetti.
«Se parliamo di Pablo», ci dice Marina Escobar, «dobbiamo anche parlare delle sue ragioni e motivazioni, di un Paese violento dove le cinque famiglie più influenti avevano schiavizzato e sfruttato i meno fortunati. Dobbiamo parlare del suo impegno per la giustizia sociale e di come, grazie ai suoi sforzi, mio fratello abbia interrato il seme del desiderio di miglioramento in Colombia». Come? «Dando un esempio di solidarietà e di amore per i meno fortunati», risponde la donna. Che sottolinea: «Pablo è stato temuto e rispettato, sempre. Alcuni avevano paura del suo potere e della sua leadership. Erano terrorizzati all’idea che mio fratello avrebbe messo fine al loro regno di corruzione. I più poveri hanno visto in lui il riflesso di qualcuno che è riuscito a farsi strada grazie alla sua intelligenza e all’impegno». Doti che sono state tuttavia declinate nell’organizzazione della più perfetta macchina per lo spaccio della droga in America e in Europa. Una struttura tentacolare che, negli anni Ottanta, consentì al suo capo di accumulare un patrimonio personale di circa 30 miliardi di dollari. Plata o plomo: o soldi o piombo.
La verità è che Escobar è stato un assassino sanguinario. Istigatore e mandante di migliaia di morti ammazzati tra le forze dell’ordine e i suoi stessi cittadini. Un terrorista come mai se n’erano affacciati nel mondo della criminalità organizzata. Di questo è consapevole sua sorella? «Pablo aveva bisogno di difendersi dai suoi nemici e da quelli che perseguitavano la sua famiglia», è la sua replica. «Sapete che solo a me hanno messo tre bombe mentre ero incinta? Sapete che ci hanno investito, tormentato e che hanno persino torturato sua figlia di appena pochi mesi per far sì che sua madre la sentisse piangere e dicesse loro dove si trovava Pablo?». Poi l’invito: «Se parlate con il vero popolo, quelli che Pablo ha aiutato, sentirete che, nonostante il tempo, la sua immagine di uomo generoso e buono rimane e rimarrà per sempre». Convinzione che aveva portato, nel 2015, un altro fratello del capo dei capi, Roberto Escobar, a rimettere in piedi la società Escobar Inc. per «preservare l’eredità di famiglia». La stessa che si è inutilmente appellata alla Corte di giustizia Ue per ottenere l’ok alla registrazione del marchio commerciale «Pablo Escobar». Secondo i magistrati comunitari, però, il pubblico assocerebbe il nome del narcos al traffico di droga e alla stagione delle stragi e «ai crimini e alle sofferenze che ne derivavano, piuttosto che alle sue eventuali buone azioni a favore dei poveri in Colombia».
SOCIETÀ
La Escobar Inc, fondata nel 1984 con sede legale a Medellin ma mai effettivamente operativa, da alcuni anni ha assunto un accentuato dinamismo nel settore degli affari. Nel 2021 ha lanciato la Escobar Cash (Ech), «la prima criptovaluta fisica al mondo», spiegano i promotori dell’iniziativa sul sito aziendale, «stampata in 4 tagli, uno dei quali raffigura il volto di Elon Musk». Tra il 2020 e il 2019 la società ha prodotto «nuovi e rivoluzionari smartphone pieghevoli: l’Escobar Fold 1 e 2» e, ancora, nel 2015 ha registrato oltre 30 marchi riferiti a «don Pablo» anche nei settori dell’abbigliamento e della ristorazione. «Questi sono momenti utili per pacificare e per cercare con ogni mezzo di evitare la violenza, non solo in riferimento al nome di mio fratello Pablo, ma anche per ciascuno di noi», conclude Marina Escobar. Insistendo comunque sull’ipotesi di un complotto contro la sua famiglia: «Purtroppo, i media, pur di vendere, hanno creato un’immagine completamente distorta di mio fratello, un’immagine che, con mio orrore, è stata imitata da migliaia di giovani. Forse ora sarebbe il caso di affidare questi ricordi alla storia e non più alla cronaca». Facendo tacere, magari, anche i sentimenti.
«Se parlate con il vero popolo, sentirete che la sua immagine di uomo generoso e buono rimane e rimarrà per sempre»
UN DIPINTO ERRATO «I media, pur di vendere, hanno creato una immagine distorta che, con mio orrore, è stata imitata da migliaia di giovani»