il Giornale, 20 ottobre 2024
Siamo in un’Italia di matti. E la salvezza del nostro Paese sta forse nell’adeguarsi alla follia, e girarla a favore del buon vivere
Siamo in un’Italia di matti. E la salvezza del nostro Paese sta forse nell’adeguarsi alla follia, e girarla a favore del buon vivere. Non è una mia invenzione, non rubo le idee ai monumenti del progressismo letterario. Prima, molto prima che il generale Vannacci scoprisse Il mondo al contrario, per opporgli una certa misura di normalità, era stato Italo Calvino, compagno di scuola di Eugenio Scalfari a Sanremo oltre che grande scrittore vate della sinistra, a proporre di invertire la prospettiva dello sguardo: in un famoso romanzo, Il castello dei destini incrociati, illustra come si legga meglio la storia e si capisca di più del presente se si è appesi a testa in giù. L’autore della scoperta è il paladino Orlando che, impazzito, vuol restare in questa posizione ribaltata, e pure con le mani legate dietro la schiena: ne ricava serenità. Dice a chi vorrebbe liberarlo: «Lasciatemi così. Ho fatto tutto il giro e ho capito. Il mondo si legge anche all’incontrario. Tutto è chiaro». Propongo di adeguarci alla follia dominante, prendendo come squisitamente normale la famosa decisione del Tribunale di Roma: quella che ha dichiarato illegale il trasferimento in strutture site in Albania sotto la giurisdizione italiana di dodici migranti clandestini, allo scopo di esaminarne la posizione e trasferirli al più presto nel loro Paese d’origine. Così ha stabilito la legge approvata dal Parlamento. Il giudice sostiene che l’Italia non ha il diritto di rimandare i forestieri a casa loro, cioè in Egitto e in Bangladesh, perché non sono porti «sicuri». Non importa che nell’elenco predisposto dai ministeri degli Esteri e dell’Interno, sentiti i nostri ambasciatori e la documentazione internazionale, siano stati giudicati tali (gli accreditati sono solo ventidue in tutto il mondo). Tutto sbagliato, tutto da rifare: la magistratura tiberina fa leva su una sentenza arrivata fresca fresca dal Lussemburgo, dov’è ubicata la Corte di Giustizia europea, per stracciare il catalogo dei promossi. Per i giudici lussemburghesi basta un angolo di territorio, una porzione di città dominata da un’autorità illegittima, per far precipitare la detta nazione dall’empireo dei buoni alla lista nera dei Paesi da cui è lecito fuggire e chiedere asilo in Paesi sicuri. Vero è che nel nostro caso – in Bangladesh e in Egitto in generale non esiste dittatura e il sistema giudiziario è indipendente e non applica la tortura, e, sempre in generale, offre garanzie di equità, ma a guardar meglio, e ad ascoltare i resoconti di certe associazioni umanitarie, ci sono anfratti di cattiveria e vi sono conculcate alcune libertà sessuali. Che fare?
La proposta è: accettiamo di guardare il mondo appesi per i piedi. Prendiamo le due sentenze di Roma e di Lussemburgo per le corna. Applichiamone le categorie giuridiche non semplicemente ai dodici, ma alle migliaia di poveri disgraziati che raggiungono le nostre coste. Che garanzia dà di sicurezza l’Italia a quanti vorrebbero ottenere asilo qui?
Prendendo come oro colato i giudizi degli intellettuali Gianni Scurati e Roberto Saviano (editorialisti del Corriere della Sera, dunque autorevoli per diritto divino) che si sono pronunciati alla Fiera del libro di Francoforte, bisognerebbe tutelare gli stranieri in fuga dall’orrore e sbarrargli la strada, perché non cadano dalla padella africana o asiatica alla brace fascista meloniana. Un magistrato serio e antifascista, per coerenza con le sue convinzioni progressiste, ha il dovere di proibire a qualunque naviglio carico di profughi e richiedenti asilo di attraversare i confini di uno Stato canaglia come il nostro. Che lo pensino di già è palese quando accettano lo mostrano svariate sentenze di cui quella di Roma è stata l’ultima l’ukaz della sinistra secondo cui da noi c’è un regime illiberale che «invece di accogliere e integrare, deporta». Un governo che usa la deportazione per regolare l’immigrazione (tesi di Elly Schlein e di tutto il suo cocuzzaro) non può essere considerato approdo sicuro per le navi tipo Open Arms o simili. Queste organizzazioni si trasformerebbero in taxisti oltre che per conto degli scafisti anche per il comodo della deportatrice Meloni. Oltretutto quei piroscafi allietati dalla presenza di Luca Casarini, quando è libero da impegni sinodali in Vaticano, battono per lo più bandiera spagnola, tedesca od olandese: conducano lì i loro pupilli.
A parte la orrenda deportazione nei resort albanesi, che basta da sé a rendere l’Italia off limits, non saranno mica sicure le zone intorno alla Stazione Centrale di Milano e di consimili quartieri ferroviari di altre grandi e medie città? Non sono sicure ad esempio né per le ragazze italiane né per le peruviane o moldave vittime di stupratori o papponi africani o cileni arrivati qui nella sicurezza – quella sì – non di alloggio e lavoro civile ma di arruolamento in masnade criminali. E sono forse sicure le scuole dove circolano più coltelli che libri, e dove il bullismo è ormai stanziale come le zanzare nelle risaie? I nostri istituti non sono certo sinonimo di approdo sereno per i minorenni in fuga dalle periferie di Dacca o del Cairo.
Ci ricordiamo tutti quando Umberto Eco promise di scappare in esilio, se non sbaglio in Argentina, se nel 1994 avesse vinto Berlusconi alleato con fascisti e razzisti. Ecco siamo – secondo gli intellettuali della crème progressista – omotransfobici e razzisti, perseguitiamo gli obesi ma anche gli anoressici. Avanti giudici, chiudete l’Italia per decreto. Il mondo è felicemente al contrario.