Corriere della Sera, 20 ottobre 2024
Un «commissario» per la Ferragni
Tempi strettissimi per rimettere in carreggiata Fenice, l’azienda proprietaria dei marchi Chiara Ferragni. L’imprenditrice-influencer (32,5% del capitale) e il socio Paolo Barletta (40%) sono nel mirino del terzo socio, l’imprenditore pugliese Pasquale Morgese (27,5%). Intorno a Fenice si gioca il futuro del gruppo Ferragni. Ma è nel presente che si stanno regolando i conti.
Sulle scrivanie del presidente Barletta e dell’amministratore delegato Ferragni (unici due membri del consiglio di amministrazione) sono arrivate – secondo quanto si è appreso – lettere durissime del legale di Morgese. Si tratterebbe di fatto della richiesta perentoria di rendere conto dell’andamento della società e convocare immediatamente un’assemblea per votare il progetto di bilancio 2023, di cui ancora non c’è traccia. «Una discutibile intimazione», riferisce una fonte vicina alla società.
Ma c’è di più, perché le lettere firmate dall’avvocato Filippo Garbagnati farebbero riferimento piuttosto esplicito, in caso di inerzia, a una richiesta di revoca del cda e ad azioni sociali di responsabilità con eventuale richiesta di risarcimenti milionari a favore della società. Danni eventuali tutti da dimostrare, ovviamente.
Morgese sembra giocare una sua partita, alzando i toni – secondo alcune interpretazioni – per non rimanere “incastrato” nel capitale di Fenice quando invece Alchimia di Barletta sarebbe pronta a vendere a Ferragni.
Ma il quadro d’insieme e il fatto che effettivamente Fenice appaia paralizzata apre potenzialmente la strada, nella prospettiva “ostile” di Morgese, al ricorso al tribunale delle imprese per l’eventuale nomina di un amministratore giudiziario. È l’applicazione “estrema” dell’articolo 2409 del codice civile: «Se vi è fondato sospetto che gli amministratori, in violazione dei loro doveri, abbiano compiuto gravi irregolarità nella gestione che possono arrecare danno alla società … i soci che rappresentano il decimo del capitale sociale … possono denunziare i fatti al tribunale». Uno scenario da forzatura legale ma tutt’altro che accademico. Assolutamente plausibile, invece, è che Fenice possa essere “commissariata” dall’interno con un manager scelto dai soci.
E di questo, così come dell’esigenza di definire il presente e disegnare il futuro della gestione, Ferragni e Barletta sono ovviamente consapevoli tanto che pare in dirittura d’arrivo un accordo che ridisegna l’assetto e la governance della società dandole stabilità e prospettive. Entro ottobre, poi, potrebbero arrivare risposte a Morgese (in sostanza convocazione dell’assemblea) anche per sminare azioni giudiziarie. Una serie di nodi, insomma, vanno districati, probabilmente da una figura terza, il che toglierebbe dall’imbarazzo gli stessi Barletta (presidente) e Ferragni (amministratore delegato), in trattativa tra loro per la compravendita del 40 per cento. Come possono coesistere al vertice due soggetti in competizione sul valore da attribuire alla società che governano? Il prezzo, infatti, è centrale ma per definirlo serve anche un bilancio recente che ancora si vede.
Quanto valga oggi Fenice (e in ultima analisi il marchio Ferragni) resta sempre la questione cruciale sul tavolo, sia che riguardi il 40% di Alchimia-Barletta, sia il 27,5% di Morgese. Sulla valutazione pesano anche i rapporti con i licenziatari dei marchi: ci sono contratti sospesi? Risolti? In contenzioso? Non si sa.
Gli anni del boom, quando Chiara Ferragni trasformava in fatturato tutto ciò che firmava o postava, sono alle spalle. Davanti adesso ci sono due-tre settimane decisive.