Corriere della Sera, 20 ottobre 2024
La strana morte di Simon Fieschi, superstite di Charlie Hebdo
Simon Fieschi dieci giorni fa raccontava di avere portato sua figlia di cinque anni e mezzo al Palazzo di Giustizia, lo scorso settembre, per assistere assieme a lui e alla guardia del corpo al processo contro il jihadista Peter Cherif, mente dell’attentato a Charlie Hebdo, condannato all’ergastolo. «Così quando sarà grande sarà più facile rispondere alle sue domande», spiegava in un lungo video su Youtube, con la consueta lucidità e precisione nella scelta delle parole. Ma non sarà lui a dare quelle risposte a sua figlia. Simon Fieschi, 40 anni, prima vittima dei terroristi la mattina della strage, è stato trovato senza vita ieri in una camera d’albergo a Parigi. L’autopsia non ha saputo ancora chiarire le cause della morte, fonti della polizia evocano un suicidio ma la sua legale Nathalie Senyk invita alla cautela, «per adesso non c’è alcuna prova di un gesto volontario».
La mattina del 7 gennaio 2015, quasi 10 anni fa, Simon Fieschi ha cominciato a guardare la morte da molto vicino e da quel giorno non ha mai smesso. I fratelli Kouachi, terroristi di Al Qaeda, incontrano la disegnatrice Coco sulle scale, la obbligano a rivelare il codice segreto della porta blindata e alle 11 e 33 riescono a entrare nella redazione di Charlie Hebdo. Sparano subito contro il primo che incontrano, il webmaster del giornale. Due colpi di kalashinkov, uno dei quali centra il midollo spinale.
Simon Fieschi è gravissimo, viene posto in coma artificiale e al risveglio una settimana dopo, all’ospedale militare des Invalides, non riesce più a muovere né le gambe né le braccia. Comincia quello che definirà «un lavoro a tempo pieno, essere la vittima di un attentato», perché «non ho avuto voglia di morire». I medici riescono nel miracolo, gli salvano la vita e grazie a una rieducazione «che non finirà mai», dice lui, e alla testardaggine nel non darla vinta ai terroristi, Simon Fieschi si rimette in piedi. Più basso di sette centimetri, aiutato da una stampella, ma in piedi, ed è in piedi che assisterà al primo processo, quello del 2020 contro i complici dei terroristi.
La commozione
La Francia è sotto choc per la notizia. L’ex presidente Hollande: «Non ti dimenticherò»
In quei giorni Fieschi scrive su Charlie Hebdo il racconto sconvolgente di quello che gli è capitato e di che cosa significa «svegliarsi in un sarcofago». «Ho riflettuto molto in quel letto e ho capito che morire era l’unica soluzione per me. Ma come? Impossibile uccidermi, paralizzato su un letto di rianimazione e sotto sorveglianza medica costante. Essere costretto a vivere mi pareva una intollerabile negazione della libertà. Sono giunto alla conclusione che avrei dovuto aspettare la mia ora, e stare meglio prima di avere finalmente l’occasione di uccidermi. (...) Ho imparato a vivere con quel che ho perduto e con quel che mi resta. Il 2015 è stato l’anno più difficile della mia vita, eppure ho una strana nostalgia del 2015 perché è quando sono stato più vivo, quando ho sentito più forte l’euforia di essere vivo».
Sopravvissuto alla strage, tormentato dal senso di colpa del superstite «quando invece gli imputati in tribunale non ne hanno alcuno», Simon Fieschi ha vissuto gli ultimi dieci anni sempre in bilico tra la voglia di vivere e l’ebrezza di morire, tra l’amore infinito per la compagna australiana incontrata a Parigi e per la figlia piccola, e la disperazione «per i dolori continui, per le difficoltà di concentrazione, i momenti di tristezza e di collera».
La morte di Simon Fieschi ha suscitato enorme commozione in Francia. Lo ha ricordato con grande affetto, tra gli altri, il presidente della Repubblica che in quei giorni si strinse attorno agli scampati di Charlie, François Hollande: «Lottava per superare l’orrore di cui era stato una delle vittime. Ci sono cicatrici che molti non vedono più, che non si chiudono mai. Non dimenticherò mai Simon».
I compagni di Charlie Hebdo ricordano che «Simon aveva passato nove mesi in ospedale dove gli avevano annunciato che non avrebbe mai più potuto camminare. Non lo conoscevano bene. Al processo, aveva raccontato gli effetti dei colpi di kalashnikov, e si era lamentato di non potere più fare il gesto del dito medio. Promesso Simon, continueremo a farlo per te».