Corriere della Sera, 20 ottobre 2024
Cosa ci sarà nelle leggi per superare l’impasse della sentenza del 4 ottobre
Roma. Se Giorgia Meloni si è infuriata per il verdetto dei giudici di Roma e ha convocato domani un Consiglio dei ministri urgente e (lei spera) risolutivo, è perché è convinta che in gioco ci sia qualcosa di molto più grande del «modello Albania». La premier questa volta non grida esplicitamente al complotto, ma vede il rischio che una parte «politicizzata» ed «ideologicamente prevenuta» della magistratura possa muoversi in sintonia con le opposizioni con l’obiettivo di scavalcare la volontà popolare e neutralizzare l’azione riformatrice del governo. «La sinistra prova a minare la mia leadership in Europa perché stiamo facendo scuola», è il tormento della premier. La quale però, a quanto raccontano fonti di governo, confida nell’effetto boomerang: «Gli italiani ci chiedono sicurezza e io non credo che, quando si voterà in Liguria, premieranno chi vuole cancellare i confini della nazione».
Con questo stato d’animo, inasprito dagli echi del nuovo e durissimo scontro con la magistratura e dalle opposizioni che presentano denunce per danno erariale, la presidente del Consiglio ha affidato al sottosegretario Alfredo Mantovano il delicato compito di districare la matassa legislativa e coordinare da Palazzo Chigi il lavoro con i ministeri. L’obiettivo è strategico: scrivere nel weekend un decreto legge ad hoc che confermi la linea dura e scongiuri il clamoroso fallimento del patto Meloni-Rama per la deportazione oltremare dei migranti irregolari. Indietro non si torna, è il diktat: se fino a mercoledì o giovedì non approderà a Shengjin una nave italiana con altri migranti a bordo, sarà solo per le cattive condizioni meteo che non consentono «salvataggi».
La scrittura e limatura delle nuove norme assieme ai tecnici di Esteri, Viminale e Giustizia andrà avanti fino alle sei di domani sera, quando la premier aprirà il Consiglio dei ministri e illustrerà il provvedimento, assente il leader di Forza Italia e ministro degli Esteri Antonio Tajani (in missione in Medio Oriente). Lo strumento giuridico individuato è il decreto legge, che nelle intenzioni di Palazzo Chigi serve a «blindare il tema dei Paesi sicuri». L’urgenza del governo è doppia: disinnescare il flop del modello Albania ed evitare che cadano sia la procedura accelerata per i rimpatri su tutto il territorio italiano, che l’intero Patto europeo sulla migrazione e l’asilo. «Il tema va ben oltre il nostro interesse nazionale» ripete ai ministri la premier, forte dell’apprezzamento di Ursula von der Leyen.
Da Palazzo Chigi, dove non sfuggono il dispiacere e la preoccupazione del presidente Mattarella per il braccio di ferro con i magistrati, Mantovano si sta confrontando ai massimi livelli con gli uffici giuridici del Quirinale per sciogliere nel modo più indolore il nodo politico e normativo. Tecnicamente, il punto di partenza è il decreto interministeriale del 7 maggio 2024 con l’elenco dei Paesi di provenienza dei migranti che il governo italiano ritiene sicuri. Alla Farnesina ammettono che «alcune schede andranno modificate» in corsa. Il passaggio cruciale è elevare quel testo a norma di legge di rango primario, il che avviene scrivendo un decreto legge che conterrà – forse sotto forma di allegato – la nuova lista dei Paesi sicuri, destinata ad essere aggiornata ogni sei mesi. «Non tocca alla magistratura decidere se uno Stato è sicuro – aveva ammonito il ministro della Giustizia, Nordio —. È una questione di alta politica».
L’esecutivo vuole «neutralizzare» la sentenza del 4 ottobre della Corte di giustizia Ue secondo cui non esistono Paesi parzialmente sicuri, sentenza che ha fatto da base giuridica al mancato trattenimento nel centro di Gjader dei 12 migranti di Egitto e Bangladesh, rimessi in libertà. Aggirare la sentenza della Corte di giustizia non è cosa facile, ammettono anche a destra, ma gli addetti ai lavori ritengono che rafforzare con una legge l’elenco dei Paesi sicuri renda più difficile alle presunte «toghe ideologizzate» scalfire le disposizioni del governo. Definire l’elenco dei Paesi sicuri con una legge vera e propria consentirebbe di superare le situazioni di criticità impedendo alla magistratura di disapplicare le norme (come avveniva con l’atto amministrativo), se non impugnandole davanti alla Corte costituzionale.
Il ministro Piantedosi ha evocato ricorsi: tra le ipotesi allo studio c’è l’idea di rendere appellabile anche la mancata convalida del fermo. E tra le righe del decreto potrebbe esserci l’attribuzione di una maggiore rilevanza giuridica alla decisione della Commissione territoriale che stabilisce l’accoglimento o meno della richiesta di asilo. Il fermo disposto dal questore non potrà essere appellato, se non dal giudice di pace.