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 2024  ottobre 20 Domenica calendario

Intervista a Yulia, la vedova di Navalny

«Mio marito Aleksei sapeva che sarebbe morto in carcere. Ma anche che Putin cadrà come è caduta l’Unione sovietica»: parla Yulia, la vedova di Navalny, il dissidente russo anti zar.
N omina il marito al presente, anche se è morto il 16 febbraio. Ride vivacemente, si commuove, parla veloce ed è immediato riconoscere in lei la donna piena di vigore e idee che Aleksei Navalny, nemico numero uno di Putin e poi il più celebre tra i suoi martiri, definiva «la mia complice». Posso chiederle dove si trova? «No».
Yulia Navalnaya, camicia confetto, chignon minimo, si collega su Zoom con Kira Yarmysch, storica collaboratrice del marito. Si ritiene che viva tra Stati Uniti e Germania, dove studiano i figli (Dasha, 23 anni; Zakhar, 15). Da luglio 2024 è oggetto di un mandato d’arresto in Russia. «Da anni non ho una casa».
Un’intervista con lei è stata finora un’occasione rara. Facilita il compito la pubblicazione di Patriot, il memoir postumo del marito Aleksei (in Italia esce martedì, edito da Mondadori). E forse il ruolo di guida dell’opposizione russa che Navalnaya ha preso su di sé. L’ha rifiutato per anni, sostenendo che «il consenso non è un pacchetto che ci si passa». A febbraio ha cambiato idea. «Continuerò il lavoro di Aleksei Navalny, e vi chiedo di stare al mio fianco», ha detto in un video nel suo primo giorno da vedova. Poco prima aveva parlato con Kamala Harris, che ha dedicato un profilo su Time alla sua «straordinaria generosità».
Nel finale delle sue memorie, Aleksei ricorda un vostro colloquio in carcere, nel 2022, in cui concordate che probabilmente lui morirà in prigione. Che ricordo ne ha?
«Che non è stata una rivelazione. Da anni sapevo quanto fossero pericolosi i nemici di mio marito ed era così ovvio che tra noi non ne avevamo mai parlato in modo serio. Lui iniziò questa conversazione diretta, in cui disse: penso ci sia un’alta probabilità che da qui non uscirò mai, accettiamolo. Io risposi solo: lo so».
Da allora lo ha visto poche volte. Ha appreso della sua morte dai notiziari. Ha tenuto discorsi, incontrato i grandi del mondo, preso aerei. Che spazio si è data per il lutto?
«Vorrei saperle rispondere, vorrebbe dire che ce la sto facendo. Ma le dirò che qualche volta uno fa solo quel che deve fare, e si chiede solo se è giusto o no, e anche questo è un modo di elaborare un lutto. Non c’è un momento in cui riesco a sedermi e meditare, far defluire i pensieri, per poi stare bene. Comunque per ora non ne avrei il tempo».
Fatale è stato il ritorno in Russia, dopo l’avvelenamento e la convalescenza in Germania. Navalny scrive di aver pensato che Putin non si sarebbe spinto al punto di farlo arrestare agli arrivi. Cosa non avete capito?
«Guardi, non funziona così. Non è che avremmo mai deciso di non tornare. Mio marito è stato un politico russo. Voleva stare nel suo Paese e dare un esempio. E io non parlavo solo con mio marito, ma col capo dell’opposizione. Un capo dell’opposizione che amavo molto, ma che doveva fare quel che doveva fare».
Che ricordo ha del vostro primo incontro, in un viaggio aziendale in Turchia?
«Questa storia a me piace come la racconta lui (ride molto e parla al presente, ndr ) perché io ne esco benissimo! Dice che mi ha visto e ha subito capito che ci saremmo sposati, e io so che è vero».
Lui scrive di lei con molta ammirazione politica. «È più radicale di me». È così?
Ride. «Grazie, Aleksei. Mi mette in una posizione difficile ogni volta che lo dice. Sa, è facile essere radicali quando chiacchieri di politica in cucina con tuo marito. Non lo so. So che molti, e di certo il potere, si aspettavano che a un certo punto avrei detto: basta, hai una famiglia, lascia perdere, qui avvelenano gli oppositori. Avremmo potuto avere una bella vita. Ma basta non glielo avrei detto mai. Proprio perché eravamo in un Paese che avvelena gli oppositori».
Quale delle battaglie dell’opposizione è prioritaria? Fare implementare le sanzioni; informare l’opinione pubblica russa della corruzione del regime, come fate coi vostri canali; la pace in Ucraina?
«Nessuno sa dirlo. Non sono in grado, da sola, di far implementare le sanzioni. L’informazione in Russia mi è più facile darla, però i russi devono sapere che noi non abbiamo un mago che farà sparire Putin o finire la guerra».
Oltre che con i russi comuni lei parla con capi di Stato.
«Dico loro queste stesse cose: che i russi non sono con Putin solo perché sono zitti».
Come stanno i suoi figli?
«Stanno bene. So che per loro quella del padre è stata una grande tragedia. Da fuori sembrano più o meno ok, ma niente sarà mai come prima. Cerco di mantenere un senso di famiglia anche se viviamo sparpagliati, e non ci troveremo prima di Natale. Manca ancora un sacco di tempo».
Nel suo discorso in morte di Aleksei ha detto: è stata uccisa metà di me. Cosa resta?
Fa una pausa molto lunga. «È molto difficile dirlo. Se n’è davvero andato un pezzo grande di me. Siamo stati molto fortunati e molto felici. Per 25 anni non mi sono sentita sola. Potevamo sempre fare le nostre vacanze insieme, esserci per le difficoltà. Non ci siamo annoiati mai».
Cosa non sappiamo ancora della sua morte?
«Molte cose. Stiamo conducendo un’inchiesta, e spero che avremo risposte come è stato per l’avvelenamento. Ma è più complicato perché Aleksei è morto in carcere. Era da solo, circondato da polizia politica, e tutto è avvenuto sottocoperta. Inoltre sanno che indaghiamo, quindi insabbiano tutto».
È vero che sarebbe dovuto uscire nello scambio di prigionieri, e che poi all’ultimo è stato Putin a decidere di no?
«Abbiamo solo teorie, per ora, e ritengo sia così».
Che effetto le ha fatto lo scambio, che è poi avvenuto?
«Dolceamaro».
In «Patriot» Aleksei cita «Guerra e pace», un romanzo che «nega il ruolo dell’individuo nella storia». Secondo Tolstoj la campagna di Russia ci sarebbe stata anche senza Napoleone; secondo lui, invece, no. Lo scrive riferendosi a Gorbaciov, che «ha accorciato la vita dell’Urss di 10 anni». Pensa parlasse anche di sé?
«Non saprei se parlasse di sé. Ma lo conosco da quando avevamo 22 anni e ho visto quest’uomo giovane, molto ordinario, diventare un leader, un magnete, un motivatore. Putin per anni ha tentato di far credere alla gente che la politica fosse qualcosa di cui non occuparsi, e che standone alla larga ti lascerà stare. Lui ha contribuito a demolire questa credenza. Penso che il suo ruolo nella storia della Russia sia stato grande».
Eppure è morto in carcere. Lo scrive: «Abbiamo sottovalutato il potere delle autocrazie nel mondo». I tiranni stanno vincendo?
«Spero di no. Sono solo bravi a spaventare la gente, e questo dà loro un vantaggio nel breve termine. Ma quando i regimi cadono, in quei Paesi torna la felicità. Più siamo a protestare, prima cadrà il regime. Sarà come con l’Urss».
Cosa succederebbe se domani cadesse Putin?
«Nessuno lo sa. Per prima cosa finirebbe la guerra in Ucraina».
Avete un programma, per quel momento?
«Ci stiamo lavorando. Quel momento arriverà».