Avvenire, 19 ottobre 2024
In calo i genitori che raccontano favole
Dedicato a tutti quelli che i sogni non riescono mai a ricordarli. Anche perché da quando il futuro non è un’opportunità, ma sembra soprattutto una minaccia, sognare è diventato più difficile.
Ciò che manca è l’ossigeno per raccontarli i sogni, persino a noi stessi. Anzi, per dormire meglio magari ci si augura di non sognare affatto. Una volta c’erano le favole al posto del Tavor: erano l’aperitivo dei sogni. Oggi invece riuscire a raccontare una storia a un bambino per indurlo al sonno sognante significa avere davvero un conato di ottimismo. Con il rischio, tra l’altro, che sia lui a spiegarti come va a finire. Perché da sempre, le favole non dicono ai bambini che i draghi esistono.
Quello i bambini lo sanno già. Le favole invece dicono ai bambini che i draghi possono essere sconfitti. Lo sosteneva G.K.
Chesterton, uno che faceva lo scrittore e che con le storie ci mangiava, ma è profondamente vero. Secondo una ricerca inglese ormai solo il 16% dei bambini sotto gli otto anni si addormenta al suono di una storia raccontata dai genitori.
Dieci anni fa erano ancora il 30%, trent’anni fa il 75%.
Conseguenza inesorabile è che la prossima generazione avrà un’infanzia senza favole. E con pochi sogni. E la cosa peggiore è che non sapranno mai cosa si sono persi.