la Repubblica, 19 ottobre 2024
L’adunata leghista a Palermo per Salvini
Palermo – In certe province della Sicilia dicono moviti – ancora meglio: moviti ddocu – per intendere l’esatto contrario: stattene fermo. E salta in mente questo squisito paradosso girgentino ascoltando Giancarlo Giorgetti, salito alle 7 di mattina sul diretto Roma-Palermo per unirsi al raduno leghista anti-toghe, scendere dall’auto blu e asserire con aria mogia: «Meglio essere qui che al tavolo della manovra...». Sul taccuino dei cronisti resta annotato un dato: 90 secondi secchi. È quanto impiega il ministro dell’Economia per attraversare la piazza, farsi scattare una foto volante con gli altri big del Carroccio calati sull’isola per solidarietà a Salvini, e rinchiudersi al bar: «Devo lavorare». La restante ora e mezza Giorgetti la passa così: al tavolino, sotto un’insegna al neon con scrittofood porn, a occuparsi di quello che appunto dovrebbe fare: comporre il tetris di una finanziaria rognosissima. Era stanco, ma doveva esserci. «E voleva», giurano i suoi. «Sono qui perché ero al governo con Matteo all’epoca dei fatti. E perché sono della Lega. Ho detto tutto», taglia corto lui. La manovra? «Chiedete alle banche se sono contente». Poi fa il tour dei caffè: tra il “Biondo”, famoso per i cioccolatini, e il “Giulio Cesare”, mentre fuori dalla vetrina orbitano un centinaio di leghisti al massimo, perlopiù parlamentari e deputati siciliani, altrettanti giornalisti, qualche curioso (un signore con le biro si avvicina al vicesegretario Andrea Crippa: «Mi dai 10 euro?», «No»), un gran numero di agenti in divisa e in borghese.Non è andata come sperava Matteo Salvini. Anche se naturalmente adesso, a ritrovo concluso, da via Bellerio spiegano che era esattamente così che la pensava il loro Capitano: un sit-in degli eletti. E solo del Parlamento, mica delle Regioni, visto che i governatori non si sono visti. C’è solo il segretario del Lazio, Davide Bordoni. Un manager di Stato, Dario Lo Bosco, presidente di Rfi. Giorgetti arriva per ultimo, scortato dal sottosegretario al Mef, Federico Freni. Non s’infila nemmeno la maglia stilewanted col faccione di Salvini. La sfoggia invece il sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon, prima di sedersi al tavolo con Giorgetti. Di che avete parlato? «Di manovra». Ecco. Lo stesso fa un altro ministro, Giuseppe Valditara, che chiede rassicurazioni sui fondi all’Istruzione. Roberto Calderoli intanto sfotte il collega della Cultura, chiacchierando coi cronisti: «Parlate come Giuli». Poi azzarda sull’autonomia: «A fine anno definiamo i Lep». C’è pure la quarta ministra leghista, Alessandra Locatelli, coi capigruppo Max Romeo e Riccardo Molinari. Sono tutti politici, folla zero: si fanno da soli il coretto «Matteo-Matteo». Viktor Orbán aveva promesso una delegazione, ma non si trova e lui se la cava con un tweet: «Salvini merita una medaglia».Davanti al Politeama c’è il solito struscio di palermitani in vena di compere, quasi infastiditi quando la Lega decide di piazzare due casse accanto ai gazebo, per sparare in diretta un pezzo dell’arringa di Giulia Bongiorno. Decibel a mille, poi qualcuno decide finalmente di spegnere. Salvini non si fa vedere, resta nell’aula bunker a 6 chilometri. I parlamentari li aveva incontrati la sera prima a cena, conto scaricato sulla Lega regionale. «Sì, c’è stato pure un brindisi», fa Durigon, mentre un pensionato lo ringrazia per la sua personale uscita anticipata.Tutto avviene prima della sentenza sull’accordo albanese. E per mezza giornata i leghisti infatti sembrano ammorbidire i toni. Ripetono: non ce l’abbiamo coi giudici (che Salvini aveva chiamato «comunisti» 24 ore prima). Romeo, come il viceministro all’Interno Nicola Molteni, si affanna a ripetere che se questo è un «processo politico è perché l’ha innescato la sinistra, in Parlamento». Durigon se la prende con Conte. Gian Marco Centinaio addirittura esprime solidarietà ai pm minacciati. L’opposizione, a partire da Elly Schlein, intanto critica i ministri nella piazza semivuota. All’ora di pranzo, tutti via, di corsa col trolley verso l’aereo, come finisce una scampagnata mesta.