Dagospia, 19 ottobre 2024
Serie su Avetrana: il più bel film italiano dell’anno
Perché il bell’Ivano ha rifiutato Sabrina che gli si offriva nuda in auto. “Perché è una cozza” spiega Sarah, cugina di Sabrina. Che è perfettamente cosciente di non essere una cozza. E probabilmente questo e l’aver rivelato la verità dei fatti le costeranno la vita.
In un’Italia che non la smette mai di ascoltare le storie delle persone in fuga di “Chi l’ha visto?”, i delitti in diretta del pomeriggio, le serie crime su Netflix e gli infiniti scazzi verbali a “Ballando sotto le stelle”, questo “Avetrana. Qui non è Hollywood”, diretto da Pippo Mezzapesa, che lo ha scritto con Antonella Gaeta (sì, sono tutti pugliesi, fortunatamente), serie Disney+ in quattro puntate dedicate al delitto della povera Sarah Scazzi, e tratto dal libro “Sarah. La ragazza di Avetrana” di Carmine Gazzanni e Flavia Piccinni, malgrado un’incredibile somiglianza col parodistico “Omicidio all’italiana” di Maccio Capatonda, arriva al mondo giusto sulle televisioni italiane, il 25 ottobre, e mi pare uno dei migliori film italiani (sì, film…) che ho visto quest’anno.
E uno delle operazioni più stracult della stagione. Perché mischia il realismo alto-salentino della storia e dei suoi survoltati personaggi femminile, Sabrina-Cosima-la mamma di Sarah, no, lo zio Michele non è survoltato, col grottesco dei film e dei corti di Mezzapesa, che trova qui il modo giusto per farli coincidere.
Grazie a una scelta perfetta dei protagonisti, la Sarah di Federica Pala, la Sabrina di Giulia Perulli, la Cosima di Vanessa Scalera, la mamma testimone di Geova di Imma Villa, ma anche lo zio Michele di Paolo De Vita e l’inviata della tv di Anna Ferzetti, grazie alla bella ambientazione pugliese, a una regia molto mobile che passa da lunghi piani sequenza a situazioni da horror la serie mi è sembrato molto oltre le aspettative. Tocca inoltre modelli storici non solo del crime in tv, ma della spettacolarizzazione televisiva dei fatti criminali, con tutto quello il cortocircuito che ne segue.
L’idea di essere una cozza, così, cambia se sei una cozza che va in tv e il bell’Ivano ti trova finalmente bella. Anni di scazzi di Selvaggia con l’universo mondo femminile diventano così parte integrante anche del problema centrale fra le ragazze, fra chi ha qualche centimetro in più o in meno di pancia, che ne ripetono in qualche modo i modelli di conversazione e di odio. Mentre le donne adulte seguitano a cucinare sempre le stesse cose e zio Michele è sempre più chiuso dentro il suo mondo in cantina.
Aver perso il grottesco naturale della cittadina meridionale di provincia, coi suoi mostri e i suoi orrori, non lo ha certo eliminato, lo ha trasformato nella sua ovvia versione specchiante televisiva. Ancor più mostruosa, se volete, o parodistica, come ha mostrato qualche anno fa il film, che nessuno ha visto, di Maccio, troppo avanti per i tempi e troppo cattivo. Un mondo dove l’inviata della tv del dolore del pomeriggio non si ferma certo alla porta dell’assassino o si preoccupa davvero se dentro c’è un assassino o un innocente.
Costruito su quattro puntate, ognuna dedicata a un personaggio, Sarah – Sabrina – Zio Michele – Cosima, “Avetrana”, forse non coscientemente, punta in alto, a un cinema horror autoriale grottesco/realistico che solo in Italia possiamo fare. Tratto da fatti veri, come la morte di Sara, per non andare da Il mostro di firenze, altra serie che vedremo presto. Ma nessuno finora aveva capito quanto il grottesco, la dark comedy, potessero interagire con il realismo della tv crime…