Corriere della Sera, 19 ottobre 2024
Roberto Saviano alla Buchmesse
Francoforte – La Buchmesse di Roberto Saviano è cominciata ieri nel piccolo stand del Pen Berlin. Quasi schiacciato in un angolo, circondato da una folla di lettori (molti tedeschi, molti italiani residenti in Germania) che invade anche gran parte del corridoio impedendo al presidente dell’Aie Innocenzo Cipolletta di raggiungerlo per un saluto, lo scrittore «adottato» dalla fiera tedesca dopo l’esclusione dalla delegazione ufficiale deve parlare del tema se «le democrazie hanno ancora bisogno di eroi». Lo fa con Birgit Schönau, scrittrice e giornalista tedesca, co-fondatrice del Pen berlinese che ha supportato gli autori italiani nell’organizzazione di «L’altra Italia», rassegna parallela di incontri nata dopo l’esclusione di Saviano.
L’agenda dell’autore di Noi due ci apparteniamo (Fuoriscena) è fittissima: l’esclusione ha innescato una serie di inviti da parte dei media tedeschi e oggi sono in programma almeno sei appuntamenti tra incontri, televisioni, radio. «Apparentemente la mossa censoria è fallita – dice – ma in realtà il loro obiettivo non era impedire a me di venire qui. Il vero messaggio era: non è rappresentativo dell’Italia, è il nemico. È evidente che se tu non vuoi dare rilievo a qualcuno dentro una manifestazione, è più facile invitarlo e poi infilarlo in qualche incontro. Orgogliosamente loro hanno proclamato la mia assenza. Mi volevano escludere ma il messaggio non era tanto “non ti abbiamo scelto perché non ci piaci” quanto piuttosto, “adesso con noi al governo vi liberiamo di certe figure”. Una specie di debito che dovevano pagare alla loro parte politica. E questo dimostra bene la situazione democratica del nostro Paese che deve ogni volta selezionare dei bersagli per educare tutti gli altri».
Il messaggio, dice Saviano, era diretto anche al mondo culturale italiano: «A istituti di cultura, università, manifestazioni varie: Non invitatelo. Sono indicazioni che vengono recepite».
Saviano ride quando Birgit Schönau sottolinea il paradosso della censura in un Paese come l’Italia in cui soltanto il 40 per cento della popolazione legge almeno un libro all’anno. «Perché in realtà, al di là della lettura, nell’immaginario ho come sintetizzato tutti i mali possibili. Per loro antimafia significa che utilizzo la lotta alla mafia per attaccarli. Più che i libri temono il fatto che hai una faccia, una riconoscibilità, sei sui social, vai a vendere i libri in giro».
La solitudine che tocca a chi vive una situazione come questa è la conseguenza più scontata. «Non è che perché sei un simbolo hai più possibilità di lavorare, hai più risorse, più spazi. È un grande fraintendimento. Poteva essere così molti anni fa, come mi ha detto anche Ahmet Altan, amico scrittore turco condannato all’ergastolo per un libro. Oggi chi ti attacca sa che ti lascia solo». Un meccanismo che funziona molto in Italia: «Si insinua il sospetto che quello che stai dicendo serve solo per farti fatturare. Quindi si sposta il focus da quello che stai dicendo al perché lo stai dicendo».
Anche per questo, dice Saviano, conta così tanto il supporto degli editori, tema di cui si è discusso molto in questi ultimi tempi: «Senza una protezione sistematica da parte dell’editore, per l’autore non c’è possibilità di salvare la propria parola. Innanzitutto dalla distrazione. Dalla quantità di informazioni, dalla possibilità immediata di poter distruggere, isolare, bruciare, qualsiasi tipo di tua dichiarazione, affermazione, approfondimento. La rapidità è il grande nemico del libro che, invece, ha bisogno di tempo. E l’editore in qualche modo deve sposare il tuo percorso, soprattutto se sei un autore che va in una certa direzione, e non parlo di direzione politica. Oggi fa fatica perché il mondo culturale è soggetto al mondo politico: non ha soldi e spesso i finanziamenti li dà lo Stato». Togliere risorse diventa quindi una forma più sottile di censura. «Chi è che si mette a finanziare un film, un festival, un progetto dove c’è un nemico del governo? Quando il primo ministro ti attacca, la risposta potrebbe essere: qual è il problema? È democrazia certo, può farlo, ma in realtà ti sta togliendo acqua».
Torna una parola già pronunciata martedì da Antonio Scurati: dissidente. «Ma i dissidenti esistono nei regimi – dice Saviano –, non nelle democrazie. Chi prende una posizione politica, paga un prezzo personale e questo non è giusto. In democrazia, la tua posizione politica non dovrebbe impattare sulla qualità della tua vita».
A promettere una difesa del dissenso, anche contro il governo, è stato il ministro della Cultura, Alessandro Giuli, alla cerimonia d’apertura della Fiera del Libro di Francoforte. A margine dell’incontro Saviano commenta: «Sono dichiarazioni imposte dalla forma di essere qui alla Buchmesse ospiti, ma negate in ogni comportamento che il governo sta avendo. Chiaramente tollerano tutto ciò che non li disturba. Non è che la critica al governo disturbi. Un certo tipo di critica disturba, un certo tipo di critica che loro considerano importante, che arriva anche alla loro parte politica. Giuli ha passato la vita negli ultimi anni ad attaccare quelli che considerava i nemici della sua parte politica. Hanno messo ai vertici delle istituzioni, anche quelle giornalistiche, nei telegiornali, individui che hanno semplicemente fatto una continua gavetta di sudditanza ai partiti di estrema destra. Poi se nei fatti sarà dimostrato che accolgono il dissenso, sarò ben felice di accorgermene».
Poco dopo, per il secondo degli incontri che gli scrittori firmatari della lettera contro l’esclusione di Saviano hanno organizzato negli spazi dell’Aie, il presidente Cipolletta dice che «autori e editori sono tutti dalla stessa parte, sono tutti per la libertà di espressione». Con Helena Janeczek, Donatella Di Pietrantonio, Katja Lange-Müller, scrittrice tedesca nata nella ex Germania Est, figlia di una funzionaria del partito dell’unità socialista al governo, fuggita a Berlino Ovest nel 1984, si è parlato di «Ritorno dei fantasmi» con riferimento ai totalitarismi che possono ripetersi cambiando pelle. Si torna a parlare di censura: «La cultura è una nicchia che sfugge al consenso generale della destra e quindi diventa interessante occuparsene – dice Janeczek –. A loro modo danno un valore a ciò che i libri possono trasmettere ai singoli lettori. Riconoscono che possono incidere».