Corriere della Sera, 19 ottobre 2024
Alessandro Baricco alla Buchmesse
Francoforte – «Non ci prenderete mai, nessuno ci prenderà. Non conta da che parte stiate, non possiamo che scapparvi». Così Alessandro Baricco, ospite attesissimo nel padiglione italiano alla Buchmesse di Francoforte, si rivolge con un discorso molto alto e appassionato al potere politico e al suo «istinto, immutato negli anni, di controllare il villaggio della cultura». Ma parla anche a quello stesso «villaggio» strattonato dalle correnti, esortandolo a non dimenticare mai il senso «della bellezza, dell’armonia, della misura». Un intervento intenso che cattura l’Arena gremita, articolato, con più livelli di lettura. Tanto più significativo in questa fiera dove gli effetti dolorosi della spaccatura che si è consumata attorno all’esclusione di Roberto Saviano sono più che mai evidenti nella giornata di ieri: ore 15, da una parte Baricco, dall’altra, nello stand del Pen Berlin, lo scrittore di Gomorra , con il pubblico costretto a scegliere, a dividersi anche se non avrebbe voluto.
Gli eventi sono entrambi pieni. L’assolo di Baricco s’intitola «Letteratura e impegno civile». «Mi sono scelto un tema un po’ impervio e molto scomodo» ammette l’autore fondatore della Scuola Holden, di cui quest’anno si festeggiano i trent’anni (così come di Novecento). «La coppia letteratura e impegno civile va spesso in frizione e, nei tanti anni che ho passato a scrivere libri, periodicamente si è presentata come un tema aperto. Anche recentemente – dice –, proprio per le vicende che riguardano questa fiera e questa avventura italiana, è tornata un po’ in tutti noi l’urgenza di pensare a questo rapporto».
Un rapporto su cui, spiega, «ho dei pensieri istintivi che non mi hanno mai abbandonato». E siccome «bisogna avere fiducia nei pensieri che non ci lasciano mai» e visto che magari ronzano anche nelle menti di altri, ha deciso di condividerli alla Buchmesse. Quattro, in particolare.
Il primo è che «il gesto con cui si fa la letteratura e quello con cui si pratica l’impegno civile sono distanti. Prevedono una postura differente nei confronti del mondo». Baricco si aiuta con un’immagine: «Pensate alla realtà come a un grande tappeto. Quasi tutte le cose che possiamo fare al capitolo “impegno civile” riguardano quello che vediamo del tappeto. Ferite, strappi che abbiamo l’istinto di correggere. La letteratura si applica al rovescio del tappeto: una trama disordinata, il cui rapporto col sopra è quasi misterioso».
Certo, prosegue, «potrei farvi degli esempi in cui letteratura e impegno civile ruotano uno dentro l’altro magicamente». Casi come Furore di Steinbeck, molti libri di Primo Levi. «Ma questi sono angeli, stelle che passano, non una regola. La situazione più abituale è quell’altra, in cui mi sembra inappropriato costringere la letteratura ad assumere il gesto dell’impegno civile e assurdo imporre all’impegno civile un gesto letterario». Fuori dalla letteratura invece, nota, «esistono molti gesti di scrittura completamente mescolabili in un mix fortissimo con l’impegno civile: puoi scrivere saggistica, articoli, fare televisione, intervenire online».
Il secondo pensiero, che non lo ha mai lasciato, è che «la letteratura non si tocca». Qualsiasi tentativo «di intimorire, censurare, emarginare, perseguitare la letteratura – dice Baricco – non deve mai passare. Difenderla significa salvare la tua forza e quella della tua comunità». Per questo «dovranno passare sopra i nostri corpi, perché noi crediamo che la letteratura conservi la capacità di pronunciare storie che sulla superficie delle nostre vite altrimenti non arriverebbero. Storie che, anche quando sono fastidiose, scandalose, sono importanti da conservare nel nostro corpo sociale. Abbiamo bisogno che ci sia qualcuno sotto il tappeto, di mantenere aperto il canale verso l’invisibile». Cita anche in questo caso degli esempi: Vladimir Nabokov – che con Lolita ha scritto «una storia seccante, scorretta ma è riuscito a farlo in un modo così forte che nessuno può parlare» –, oppure Gustave Flaubert con Madame Bovary.
Letteratura e autori tuttavia, aggiunge, vanno distinti. «I libri non sono gli scrittori». La letteratura «non la devi toccare, ma cosa ci autorizza a pensare di uscire indenni da qualsiasi manifestazione del nostro pensiero? Alla fine tu puoi scegliere, e tutti noi prima o poi lo scegliamo, una battaglia civile. Puoi farlo con passione e buona fede, ma è una partita in cui la letteratura non ti può schermare più di tanto. Se io ora facessi serie obiezioni sulla posizione del Papa sull’aborto, tutto quello che mi beccherei all’indomani non c’entra con i libri che ho scritto».
Quindi, il terzo pensiero, in cui chiama ancora in causa gli scrittori: «Alcuni sono molto allineati al potere, altri al contrario acquistano visibilità nell’opporsi». In entrambi i casi, scattano «delle correnti ascensionali, al di là del valore obiettivo». Da giovane, racconta, questo gli dava molto fastidio. Era come se dietro ci fosse «una forma di doping». Ora, prosegue, «ho capito che il nostro è un mondo dopato, non c’è nulla da fare». Fa un esempio concreto e «fastidiosissimo», che lo riguarda in prima persona: «Recentemente ho avuto guai di salute piuttosto seri e questo ha attirato su di me molto affetto. In questa cornice è uscito un mio libro (Abel, Feltrinelli, ndr). Ho venduto di più per questa ondata di simpatia? È probabile, anche se è seccante». Questa stessa accelerazione, prosegue, si verifica con il potere «che tu sia contro o a favore». Tuttavia, aggiunge, seppure siano dinamiche inevitabili in cui gli scrittori sono immersi, «c’è modo e modo, c’è una misura. Siamo gente che produce bellezza, e la bellezza è armonia. Ci aiuterebbe ricordare che noi sappiamo cosa siano la pulizia e l’eleganza».
Infine, quarto pensiero, il messaggio al potere. «Spiace – osserva Baricco – vedere che negli anni sia rimasto immutato l’istinto del potere politico nei confronti del villaggio della cultura. L’istinto di controllarlo, indirizzarlo. Non importa chi in quel momento sia al potere, non ho mai visto cambiare molto questo atteggiamento». Un atteggiamento «puerile, ingenuo, anche un po’ stolto: nel nostro villaggio – dice l’autore – ci sono così tanta forza mentale, talento, narcisismo, egolatria, determinazione, resistenza, rabbia, bellezza… che qualsiasi tentativo di controllare tutto questo è stupido, illusorio. Non ce la farete mai. Non ci prenderete mai. Presidiate pure le strade, non passiamo da lì; controllate i ponti, noi siamo il fiume; oscurate l’intera città, noi sappiamo vedere; illuminatela perché nessuno scappi, noi saremo sottoterra».
Il rammarico maggiore, aggiunge, è «l’energia sprecata», quando invece «bisognerebbe difendere il villaggio da tutto quello che arriva da fuori, difenderlo perché abbia cibo, perché sopravviva anche alle sue incapacità». Il principale obiettivo di qualsiasi politica culturale, chiude Baricco, dovrebbe poi essere «scaricare a terra lo spettacolo di quel talento, perché non sia il privilegio di un gruppo, ma il respiro di un’intera comunità. Sarebbe bello che l’intelligenza del potere fosse regalata al villaggio, perché non è un nemico ma un villaggio importante per tutta la comunità dei viventi».