Corriere della Sera, 19 ottobre 2024
Il commissario ucraino per le persone scomparse
Il generale dell’armata dispersa, per parafrasare il titolo del romanzo con cui lo scrittore albanese Ismail Kadare, morto nel luglio scorso, conquistò una meritata notorietà internazionale. Parliamo di Artur Dobroserdov, il magistrato ucraino, già vice procuratore della regione di Vinnytsia (dove è nato), che svolge nel ministero degli Interni di Kiev l’incarico di Commissario per le persone scomparse. Tra queste vi sono anche i prigionieri in mano alla Russia. «Una persona ha lo status di scomparso – ha spiegato – fino a quando non ritorna nel territorio da noi controllato o fino a quando non siamo in grado di comunicare con lui sul territorio di un altro Stato con cui abbiamo validi accordi legali internazionali».
Nel corso di questo conflitto che non sarebbe mai dovuto iniziare (e che invece arriverà il 20 novembre alla data simbolica di 1.000 giorni trascorsi dal momento in cui l’esercito di Vladimir Putin ha invaso un Paese da sottomettere), il ritorno in patria di 3.672 ucraini è stato assicurato grazie a 57 scambi di prigionieri. L’ultima operazione è avvenuta in settembre con la mediazione degli Emirati Arabi Uniti. Ma si tratta soltanto di una goccia nell’oceano. Negli elenchi di Dobroserdov compaiono oltre 40.000 persone di cui non si hanno notizie. Chi si presume sia morto non può essere registrato come tale perché il suo corpo non è stato recuperato mentre oltre la metà di coloro il cui destino è sconosciuto potrebbero essere vivi.
I collaboratori del Commissario per le persone scomparse, scrive The Economist, controllano i canali russi di Telegram che si sono specializzati nel mostrare i soldati ucraini catturati. Un team di esperti utilizza tecnologie di riconoscimento facciale per cercare di arrivare alle identificazioni, visto che Mosca non fornisce alla Croce Rossa le liste complete dei prigionieri. Dobroserdov vede in questo materiale che circola sul web la mano dei servizi segreti russi e li accusa di chiedere denaro o informazioni in cambio della possibilità dei familiari di mettersi in contatto con i detenuti. «Alcuni dei siti – aggiunge il settimanale britannico – sono semplicemente gestiti da truffatori». Le guerre diventano ancora più terribili quando si specula sul dolore.