Corriere della Sera, 19 ottobre 2024
Intervista al giornalista Bob Woodward sul libro War
Bob Woodward, mito del giornalismo per lo scoop del Watergate, è seduto in giacca, senza cravatta, nell’ufficio del suo editore Simon & Schuster, tra le copie del nuovo libro War, pubblicato in Italia da Solferino. Parla con noi in un momento molto significativo: il leader di Hamas Yahya Sinwar è stato ucciso dagli israeliani e Biden dice che è ora di «porre fine una volta per tutte a questa guerra». Ma nel libro Woodward racconta la sfiducia e gli insulti (in privato) di Biden per un alleato che dà l’impressione di ascoltarlo ma poi fa di testa propria.
Adesso Biden può influire sul «giorno dopo a Gaza» o la situazione resta la stessa?
«Io penso che sarà sempre la stessa. Ma è il Medio Oriente: tutto può succedere».
Lei rivela anche le tensioni meno note tra i generali dei due Paesi. In una scena il capo del Pentagono Lloyd Austin rimprovera il suo omologo israeliano Gallant per le vittime civili; e quando Gallant gli ricorda il 7 ottobre, Austin risponde: «Guarda che stai parlando con me. Non servirmi la solita minestra riscaldata».
«Biden non si fida di Netanyahu, lo definisce un bugiardo e dice che diciotto su diciannove persone che lavorano con Netanyahu sono bugiarde. È un rapporto pragmatico, ma può inasprirsi in ogni momento».
Gli israeliani temono un cambio di politica se Kamala Harris diventa presidente?
«Il suo incontro con Netanyahu un paio di mesi fa a Washington è stato rivelatorio. Erano pappa e ciccia quando parlavano in privato ma poi in pubblico lei, la vicepresidente che potrebbe diventare presidente, ha rimproverato Bibi («Non resterò in silenzio», ha detto a proposito delle sofferenze dei palestinesi, ndr). Lui era furioso, ma non ha detto niente e la cosa non era emersa».
L’assenza di un accordo tra Israele e Hamas può danneggiare Harris alle elezioni tra pochissimi giorni?
«Pochissimi... è come una grande onda che incombe sugli americani e sul sistema politico. Quello che la preoccupa, secondo me giustamente, è la catastrofe umanitaria. In uno degli incontri che riporto nel libro osserva: “C’è un solo gabinetto a Gaza ogni 4.000 persone”...».
È più preoccupata di Biden per la crisi umanitaria?
«Sicuramente lo è. Ma non credo che le venga necessariamente riconosciuto dall’elettorato americano, che è preoccupato per la crisi umanitaria nelle nostre città».
Quindi è irrilevante o può incidere per esempio in Michigan, per via dell’elettorato arabo americano?
«Non è mai irrilevante. Uno dei grandi misteri della politica americana, e di tutta la politica, è cosa c’è nella testa delle persone, che cosa attira la loro attenzione. Harris ha accumulato una certa esperienza, sta andando a scuola di presidenza, ha visto come opera Biden. Sarebbe la stessa cosa? No, ma ha appreso da lui che ha 50 anni di esperienza e ha fatto scelte intelligenti, non solo in Medio Oriente, al fine di proteggere gli Stati Uniti».
Harris batterà Trump?
«Potrebbe vincere. È tutto indefinito. Le persone devono riflettere davvero su chi è Trump. Non ha un piano...».
L’unica cosa che conta è l’istinto: Trump lo disse già negli anni ‘80 in una vecchia intervista con lei e con Carl Berstein che avevate perso ma che ora appare per la prima volta in questo libro.
«Istinto vuol dire fare quello che vuoi. E non ha una vera squadra, che per la sicurezza nazionale è cruciale. Trump è come una roulette, non sai mai che numero verrà fuori».
Lei rivela che Trump inviò test per il Covid a Putin e che ha continuato a parlargli da ex presidente. Quando gli hanno chiesto se sia vero, Trump ha detto: «No comment, ma se ho parlato con Putin, ho fatto una cosa molto intelligente».
«Però prima aveva negato... Il suo rapporto con Putin è complicato, risale al 2016, quando correva per la Casa Bianca. Ne parlammo a Mar-a-Lago e mi disse di piacere a Putin, di essere importante per lui. Il capo della Cia Bill Burns spiega che Putin è addestrato a manipolare la gente: ha usato Trump».
A Washington molti si preparano al suo ritorno?
«La mia sensazione generale è che Trump potrebbe vincere di 10 punti o perdere di 10 punti o può anche esserci un pareggio: ci troveremmo coinvolti in questioni tecniche su come eleggere il presidente e come certificare il voto».
L’eredità politica di Biden dipenderà da un accordo tra Israele e Hamas?
«In parte, ma gli americani sono molto concentrati su se stessi. La gente si fa tre domande: “Come va l’economia? Come va l’economia? Come va l’economia?”. Ma riconosco a Biden il merito di aver garantito la nostra sicurezza, ad esempio decidendo saggiamente da subito di non mandare truppe in Ucraina. E il 4 luglio, prima del suo ritiro dalla corsa per la rielezione, il segretario di Stato Blinken gli disse: “Se resti in corsa e vinci, fantastico. Ma se perdi, è questo che definirà la tua storia”».
Quanto sono stati devastanti i processi a suo figlio?
«Le persone vicine a Biden dicono che questa è la guerra che più conta per lui, la sua preoccupazione centrale. Biden ha detto a un amico che si sente in colpa, che se non fosse presidente non sarebbe accaduto a Hunter, l’ha detto con dolore. E io penso che alla fine potrebbe concedere la grazia presidenziale a suo figlio, anche se ha detto che non lo farà. Ho studiato Biden per anni: potrebbe farlo. Il legame con la famiglia è così forte. Lo attaccheranno se lo fa, ma forse tanti nel partito repubblicano lo capirebbero».