Corriere della Sera, 19 ottobre 2024
Il procuratore Tescaroli sugli operai tessili cinesi
Prato – Luca Tescaroli, da pochi mesi alla guida della Procura di Prato, ha indagato su alcune tra le più oscure vicende della storia italiana, dalle stragi di Cosa Nostra a Mafia Capitale, ma è anche un profondo conoscitore del mondo cinese. Quando era procuratore aggiunto a Firenze le inchieste sulla criminalità cinese le ha coordinate tutte lui.
Procuratore Tescaroli, l’ultima inchiesta sullo sfruttamento dei lavoratori a Prato è partita dalla denuncia di un operaio cinese. Possiamo dire che nell’omertà del mondo cinese si stanno aprendo le prime crepe?
«La comunità cinese è da sempre una struttura chiusa e impenetrabile, quindi questi segnali sono estremamente positivi e fanno ben sperare per il futuro. Ma le denunce sono ancora poche. Per combattere le strutture criminali la collaborazione con l’autorità giudiziaria è fondamentale. E per liberarsi dal giogo dello sfruttamento quella è l’unica strada».
Per gli stranieri che collaborano però le norme non prevedono i benefici riservati agli italiani.
«Questo è sicuramente un problema che il legislatore prima o poi dovrà affrontare. Nel caso dell’operaio che ha denunciato il datore di lavoro, il testo unico sull’immigrazione offre la possibilità di concedere un permesso di soggiorno ma non è sufficiente per far fronte alle esigenze di chi si trova in questa condizione. I rischi per lui e per i suoi familiari sono concreti. La criminalità cinese sa essere particolarmente cruenta».
In mancanza di protezione per chi inizia a collaborare, come si fa a conquistare la fiducia di una persona che non ha il coraggio di denunciare?
«Lo Stato deve dimostrare di esserci e di essere affidabile. Il che significa avere la capacità di intervenire tempestivamente, eseguendo provvedimenti cautelari e sequestri e soprattutto celebrando rapidamente i processi. Solo così acquista credibilità. Ma nella mia esperienza lunga 35 anni tutte le riforme che ho visto hanno avuto solo l’effetto di rallentare i processi. Solo l’introduzione del giudizio immediato ha prodotto qualche risultato in termini di accelerazione. Bisognerebbe riflettere sui meccanismi processuali, sempre ovviamente salvaguardando le garanzie di indagati e imputati. Anche per questo serve più personale al lavoro nelle procure e nei tribunali. Servono magistrati, cancellieri e serve personale amministrativo. Così si accresce l’affidabilità dello Stato. A Firenze alla Direzione distrettuale antimafia avevamo creato un’unità specializzata in criminalità cinese che ha raggiunto molti risultati».
Negli ultimi mesi stiamo assistendo a un’escalation della violenza all’interno della comunità cinese a Prato. Che sta succedendo?
«Prato è una realtà estremamente complessa, crocevia di flussi migratori affaristi e criminali. Più della metà degli stranieri residenti in Toscana vive a Prato, il 51,4 per cento. E poi ci sono ci sono quasi 43 mila imprese, di cui 9.824 artigiane. Gli abitanti a Prato sono 198 mila e sono in incremento gli immigrati residenti, a gennaio 2023 erano 55.770, 35.205 cinesi. A questi numeri si aggiungono poi i circa 15 mila cinesi “sommersi”, quelli senza permesso di soggiorno. Prato è un polo industriale di significative dimensioni, ci sono contrapposizioni tra gruppi di imprenditori cinesi e ci sono infiltrazioni di strutture associative calabresi e campane. Non dimentichiamo che negli anni Novanta è stata anche la base di Cosa Nostra quando ha organizzata l’attentato in via dei Georgofili. Qui è arrivato l’esplosivo utilizzato per imbottire di esplosivo il Fiorino. Indagini recenti hanno poi messo in luce rapporti corruttivi tra imprenditori e forze dell’ordine».
Per tanti anni i cinesi sono stati gli invisibili delle nostre città. Stiamo scontando ancora la sottovalutazione dei primi anni in cui sono arrivati?
«Sicuramente non c’è stata adeguata percezione della loro pericolosità criminale all’inizio. Non abbiamo capito subito che l’integrazione non deve essere solo economica ma anche giuridica».
Uno dei problemi più grandi riscontrati durante le indagini è la mancanza di collaborazione delle autorità cinesi.
«Abbiamo fatto un’indagine che ha portato a scoprire un fiume di denaro, frutto di evasione fiscale, che partiva dalla Toscana e arrivava in Cina, passando da conti correnti esteri, per poi venire convertito in valute virtuali. Abbiamo fatto una rogatoria nel 2022 alla Repubblica popolare cinese per individuare i beneficiari ultimi dei trasferimenti ma non abbiamo mai avuto risposta. A luglio abbiamo fatto l’ultimo sollecito ma è caduto nel vuoto come tutti gli altri. Dovrebbe essere interesse delle autorità cinesi fornire collaborazione e non agevolare queste condotte criminali».
L’altro problema di cui si parla da anni è quello della difficoltà di trovare interpreti affidabili.
«Continua a esserci una forte penuria di interpreti che sono spesso anche inadeguati. Per questo stiamo studiando iniziative per ricorrere all’intelligenza artificiale per le traduzioni».