Corriere della Sera, 19 ottobre 2024
L’ex sindaco di Prato sulla migrazione cinese
Prato – «Il fenomeno dell’illegalità era e rimane inaffrontabile a livello comunale». L’ex sindaco Marco Romagnoli ha governato Prato dal 2004 al 2009, quando il grande flusso migratorio proveniente da oriente ha creato un corto circuito con la pancia della città. La narrazione politica assegnò alla sinistra, Romagnoli era dei Ds, la responsabilità di quella stagione. Il sindaco uscente non si candidò per un secondo mandato e Prato fu espugnata – primo capoluogo in Toscana – dal centrodestra guidato dal civico Roberto Cenni. «Quei tempi erano contraddistinti da una grave crisi del nostro tessile e un forte flusso di cinesi in ingresso, che dava un elemento di agitazione in più ai cittadini, in un contesto nazionale in cui l’immigrazione era vista dalla destra come ora: l’origine di tutti i mali. Su questo enorme problema di Prato però tutti hanno fatto solo propaganda, senza risolverlo».
La migrazione cinese in città era cominciata negli anni Novanta, incrementando all’inizio del millennio: un lasso di tempo in cui la dimensione del fenomeno di sfruttamento dei lavoratori è aumentato allo stesso ritmo di crescita del distretto dell’abbigliamento. Il direttore di Confindustria Toscana Nord Marcello Gozzi ha sostenuto che le amministrazioni comunali di quel periodo hanno «incoraggiato» il flusso migratorio. «È sbagliato – ribatte Romagnoli – quel che si è tentato di fare all’epoca è repressione dell’illegalità accompagnata da politiche di accoglienza per chi ne aveva bisogno: dalla ricerca di abitazioni alle cure mediche, niente di più. Ma io stesso ho sottoscritto due patti con altrettanti Governi per aumentare i controlli. La task force interforze l’abbiamo inventata noi».
Romagnoli ha abbandonato la politica, ma non la passione civile, anche per questo stesso tema. Proprio domenica scorsa l’ex sindaco era tra i manifestanti che si sono riuniti a Seano per sfilare in corteo contro le aggressioni agli operai pakistani avvenute tra l’8 e il 9 ottobre. Allora di chi è la responsabilità, se non la colpa, di quanto è cominciato ad accadere in quegli anni e poi non è mai cambiato? «Uno dei problemi è che gli industriali in crisi affittavano i capannoni ai cinesi senza preoccuparsi di cosa ci facessero dentro, per ovviare a questo problema abbiamo escogitato addirittura una norma comunale di contrasto. Dopodiché, i funzionari dell’Inps o dell’Inail che devono controllare sul nostro territorio, si contano sulle dita di una mano. Questo è il Paese, una nazione che è sempre stata troppo tollerante su evasione e rispetto delle regole, anche per gli italiani».
Il riconoscimento del piano «Lavoro sicuro» come unico strumento funzionante in questo trentennio è unanime. Lo conferma Romagnoli, lo prende a spunto la sindaca Bugetti nella sua proposta al governo. Se ne compiace Enrico Rossi, che lo volle da presidente della Toscana nel 2014. «È un progetto che ha dato le risposte che cercavamo», dice oggi. Ma non quelle che si vanno ancora cercando sul piano della dignità del lavoro, viene da aggiungere: «Su questo punto – dice Rossi – io sono per l’introduzione del reato di schiavismo, di cui avevo parlato con l’ex procuratore di Prato Giuseppe Nicolosi». In Italia non esiste un reato specificamente denominato «schiavismo». Tuttavia, il Codice penale prevede diverse norme che puniscono comportamenti assimilabili a forme di schiavitù moderna. In particolare, gli articoli 600, 601 e 603-bis (caporalato). Quanto al complesso rapporto tra gli stati – Cina e Italia – che sarebbe alla base della difficoltà di agire in maniera massiccia nel distretto, Rossi conferma: «All’epoca andai a Roma a parlare del problema con il ministro dell’Interno due volte, con due governi: tutti fecero orecchie da mercante…».