Il Messaggero, 18 ottobre 2024
Così lo smart working impoverisce le città
Francesco Pacifico:
Soltanto i 20 mila bar e ristoranti della Capitale lamentano a causa dello smart working 80 milioni di incassi in meno all’anno. Che – secondo le stime della Fipe-Confcommercio – salgono a livello nazionale a un miliardo tondo per tutto il settore, visto che per uno o due giorni alla settimana 3,7 milioni di dipendenti tra pubblici e privati restano a lavorare a casa in smart. E, di conseguenza, non mangiano più fuori, saltano colazioni, pause pranzo e spuntini pomeridiani presso caffè, tavole calde o trattorie.Fin qui il presente, ma il futuro potrebbe avere – dal punto di vista economico – un impatto ancora più pesante: Confesercenti ha stimato che un allargamento del lavoro agile potrebbe portare in estrema ratio a un crollo dei consumi pari anche a 10 miliardi di euro. Sì, perché impiegati o dirigenti per andare a lavoro fanno benzina. E quando escono o possono approfittare di uno spacco durante la giornata, si tolgono lo sfizio di comprarsi una cravatta o un paio di scarpe, corrono a tagliarsi i capelli, a farsi fare un massaggio oppure ad allenarsi in palestra. Quindi rischia di saltare un indotto immenso, che dal caffè al bar la mattina fino ai cosiddetti servizi alla persona, è linfa vitale per i centri storici e direzionali delle nostre città. Senza il quale accelera soltanto il processo di desertificazione.LE INTESE
Questa – economica e sociale – è l’altra faccia dello smart working. Che non soltanto è utile per azzerare i tempi morti durante la giornata o per conciliare – durante le ore di lavoro – le esigenze legate alla cura della propria famiglia. Uno strumento che, in tutto il mondo, sembrava aver perso via via il suo appeal dopo la fine del Covid e che adesso – grazie alle spinte del Comune di Roma – potrebbe vivere una nuova stagione. Fino al prossimo 8 gennaio, per ridurre un traffico veicolare impazzito per la presenza dei cantieri delle opere giubilari, il Campidoglio prima ha aperto a un maggiore impiego in smart dei suoi 9mila travet. Cioè quelli che non sono costretti a operare in presenza. Quindi ha firmato un accordo con associazioni datoriali e sindacati per provare a tenere a casa – l’intesa non è vincolante – quante più persone possibili, che lavorano negli uffici privati. Risultato? Roma – compresi i ministeriali – potrebbe ritrovarsi con una platea potenziale di lavoratori in smart vicina alle 40mila unità.Per capire quello che stiamo vivendo, le luci e le ombre del fenomeno, è utile ascoltare Massimiliano Valerii, sociologo e direttore generale del Censis: «Nessuno nega i pregi del lavoro in remoto, però bisogna valutare tutti gli effetti: penalizza le relazioni umane, non permette ai lavoratori di respirare il clima aziendale, che è vitale soprattutto per chi è entrato da poco in un ufficio o in una fabbrica». Uno scenario che si può traslare alla vita sociale ed economica delle nostre città. «Con lo smart working, abbiamo in giro sempre meno lavoratori e city users. Questo, in primo luogo, ha un impatto sulle attività commerciali come bar, ristoranti e supermercati». Che facendo meno affari, chiudono. «Nei centri storici, come stiamo notando a Roma, i flussi di dipendenti e city users vengono sostituiti da quelli turistici, rendendo sempre più caotici, dei suk levantini i cuori delle nostre città. Turisti che invece sono meno attratti dal visitare i centri direzionali verso le periferie. Con il risultato che zone come l’Eur, senza il personale degli uffici, possono diventare quartieri zombie».GLI EFFETTI
Come detto, i rischi sono economici e sociali. «Senza la presenza degli “autoctoni”, intesi come lavoratori e residenti, sostituiti dai turisti la vita nei quartieri cambia: c’è minore disponibilità di case, spariscono gradualmente i servizi e crescono i prezzi per i consumi. Stiamo riscontrando “un’inflazione occulta": al posto dei vecchi bar, dei negozi di abbigliamento o degli artigiani come il meccanico nascono attività che guardano ai turisti, con un target e prezzi più alti. Anche fare la spesa al supermercato o al mercato rionale diventa più caro».Nell’indotto verso i grandi uffici non vanno dimenticati poi i fornitori di beni come la cancelleria o l’elettronica e i manutentori. Andrea Rotondo, presidente di Confartigianato Roma, ricorda che «le restrizioni della pandemia portarono a un crollo generalizzato pari al 40 per cento del fatturato per le principali attività. Un calo completamente recuperato dal post Covid a oggi. La rinnovata applicazione dello smart avrà un effetto direttamente proporzionale sui nostri fatturati: il 15-20 per cento di dipendenti a lavoro da casa si tradurranno in un altrettanto 15-20 per cento di incassi in meno».
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Camilla Mozzetti:
In media sono tavoli da sei persone. Fra loro, alcuni sono diventati anche amici ma prima di tutto sono colleghi. Impiegati pubblici o privati. Si riconoscono non solo dai tailleur ma anche dai cordoncini con i badge che restano appesi al collo. E sono a pranzo insieme in quella pausa che, a fronte dei nuovi accordi sullo smart working siglati dal Campidoglio, rischia di scomparire vanificando almeno 80 milioni di euro nel settore dei pubblici esercizi. Senza contare gli effetti a livello di socialità e interazioni messi in gioco nel nome del “lavoro da remoto”. A vederli lì seduti, alcuni, con davanti un’insalata o un piatto di pasta si ha l’impressione, dagli sguardi scambiati, dal modo con cui parlano e agitano le mani accompagnando alle parole i gesti, di quanto Steve Jobs non avesse sbagliato nel ritenere la “mensa” – in questo caso un ristorantino di via XX Settembre – fucina di creatività. Ma i cantieri per la conclusione dei lavori giubilari hanno imposto all’amministrazione di Roma Capitale una riflessione. Se si riuscisse a ridurre anche di poco la circolazione giornaliera, non ne beneficerebbe soltanto il traffico.
IL PIANO
Quindi smart working per dipendenti capitolini e accordo con i privati da estendere poi al settore intero della pubblica amministrazione. Almeno fino a dicembre, fino alla conclusione dei lavori che accompagnano il Giubileo e che puntano a migliorare sensibilmente l’immagine della Capitale non solo in occasione dell’apertura della Porta Santa. In cassa la titolare del ristorantino accetta i buoni pasto, il gruppo esce, qualcuno sorride qualcun altro invita gli altri a sbrigarsi perché sono le 14.15 e fra mezz’ora c’è «riunione». «Che le devo dire – dice da dietro la cassa la titolare – noi lavoriamo molto con dipendenti pubblici, è chiaro che se dovessero restare a casa per noi sarebbe un problema». Di questo ne sono convinte anche le associazioni di categoria che, pur accordandosi e andando incontro alle richieste del Comune, non nascondono delle perplessità e contano che la fase attuale sia solo “transitoria”.I
CONTRACCOLPI
«Il centro studi della Fipe Roma – analizza il presidente Sergio Paolantoni – ha stimato che lasciare a casa 9 mila dipendenti capitolini a cui si aggiungono quelli del settore privato può portare in un solo giorno a una perdita di 50 mila caffè senza contare la pausa pranzo. Pur comprendendo le ragioni, speriamo che questa fase duri poco perché altrimenti per far lavorare un numero di dipendenti da casa rischiano poi di dover licenziare i nostri». Sempre dalla Fipe il consigliere Enrico Pierri, con un ristorante a pochi passi da palazzo Madama, aggiunge: «Noi come categoria ci stiamo attrezzando per assicurare il massimo del servizio a tutti i pellegrini che arriveranno per il Giubileo attraverso un ampliamento della forza lavoro e protocolli d’intesa a tutela dei visitatori per evitare truffe e speculazioni dall’altro lato dobbiamo preoccuparci per la tenuta delle nostre aziende. Un’opportunità non deve generare perdite».Che non debba essere lo smart working «il modello del futuro» ne è convinto anche il direttore della Confcommercio Roma, Romolo Guasco. «Il contraccolpo per il settore dei pubblici esercizi è evidente, soprattutto per quelle attività che lavorano principalmente con i dipendenti siano essi pubblici o privati. Il turismo, al momento, compensa ma in periodi di normalità sarebbe un rischio trasformare il lavoro da casa in pratica diffusa anche perché a essere penalizzati sarebbero poi i rapporti compresi quelli dei neo assunti, dei giovani, che non avrebbero più occasione di confrontarsi con gli adulti e forse imparare». Da piazza di Spagna, il presidente dell’associazione dei negozianti David Sermoneta chiosa: «se l’unica strategia è tornare allo smart working pur dopo il Covid-19 ne prendiamo atto ma c’è un problema di metodo. Abbiamo già pagato il prezzo di quartieri deserti o comunque vuoti con l’emergenza sanitaria ed è stato un prezzo altissimo». Pure fra quegli imprenditori della ristorazione che lavorano principalmente con i turisti l’analisi è la stessa: «Sono dalla parte di tanti colleghi che lavorano principalmente con gli impiegati – conclude Mario Mozzetti, titolare di un famosissimo ristorante in via della Scrofa – per queste realtà ci sarà un calo, inutile negarlo».