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 2024  ottobre 18 Venerdì calendario

Perché è giusto pubblicare le foto dei nemici morti

Guardare la morte in faccia – la morte di un boia – non è un esercizio di stile. Non è voyeurismo, né pornografia. Sospende la pietas e non discute di deontologia. Il volto sfigurato di Sinwar, ucciso a Rafah nella Striscia di Gaza, è un pezzo di storia. È un documento, efferato e necessario.
La guerra – tutte le guerre, incluso il conflitto che sta insanguinando il Medioriente – cerca prove e lascia tracce ai posteri. Il cadavere di Yahya Sinwar mostrato al mondo è il corpo di Nicolae Ceausescu, fucilato 35 anni fa in Romania assieme alla moglie Elena. Il sangue del leader di Hamas è quello di Muhammar Gheddafi, brutalizzato a Sirte al termine della guerra civile in Libia. Quelle spoglie, a terra tra i soldati israeliani, sono l’eco di Saddam Hussein catturato in una buca vicino a Tikrit dai soldati americani – un soldato che sorride, seduto accanto al dittatore iracheno -, condannato da un tribunale speciale e infine giustiziato per impiccagione. Persino la falsa immagine di Bin Laden ucciso, diffusa da una tv pakistana e rilanciata per mesi dai media di tutto il mondo, risponde alla stessa esigenza. Guardate – dicono quelle istantanee – il dittatore è morto. Il male ha perso. E questa immagine ne è testimonianza.
Hitler non lasciò corpo, per evitare la traccia dello scempio, mentre allo scempio non sfuggì Mussolini. Che Guevara senza vita fu ritratto da Marc Hutten, corrispondente della France Presse, unico giornalista a documentare l’uccisione del rivoluzionario argentino, e divenne icona anche in morte.
Linciaggi, esecuzioni, cadaveri esposti: un’offesa al diritto e un’esibizione di vittoria. Allora perché diffondere quegli scatti? Perché è così importante la foto del corpo di Sinwar? Perché l’immagine è propaganda ma anche politica. Costringe Hamas ad ammettere la perdita e a «vedere» la sconfitta – prima di Sinwar è stato ucciso Hanyeh, la piramide del comando è stata decapitata. Non lascia repliche né zone d’ombra. Ed è politica non solo nella prospettiva di chi ha diffuso quella foto – Israele – ma anche di un possibile interesse generale: una tregua, uno spazio diplomatico per discutere di un cessate il fuoco, da ieri nuovamente invocato da Europa e Stati Uniti. «Non è la fine della guerra», ha però avvisato Tel Aviv. Ma «è la fine del male e il buio si sta allontanando», ha esultato Netanyahu. Quella foto – sembrava dire ieri sera il leader israeliano – quella foto è la Storia, e la Storia è con noi.