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 2024  ottobre 18 Venerdì calendario

Intervista a Antoine Gallimard, editore

Francoforte – Ieri giornata insolitamente tranquilla alla Buchmesse, domani sarà la volta di Alessandro Baricco e, fuori dal recinto ufficiale, arriverà Roberto Saviano. Forse però una delle cose più belle da fare alla Buchmesse è andare a sondare che cosa si pensa di noi fuori casa. Antoine Gallimard accetta al volo la proposta di un’intervista nel suo stand. L’Italia nel 2023 ha venduto in Francia 651 titoli. L’editore nutre una vera passione per i nostri scrittori. Molti di quelli presenti a Francoforte sono pubblicati da Gallimard. Qualche nome: Saviano, Baricco, Erri De Luca, Gian Marco Griffi, Magris, Francesca Melandri. Ascoltando la lista, interrompe: «C’è anche Elena Ferrante, lo scriva».
Nonostante la baldoria della fiera, dove tutto si misura in slot di venti minuti, Antoine Gallimard, 77 anni, figura mitica dell’editoria d’oltralpe, alla guida della casa editrice fondata nel 1911 dal nonno Gaston, sostiene che alla Buchmesse in realtà si riposa: «Per me è come una vacanza».Parliamo degli italiani, ha seguito le polemiche?
«Che è successo?».
Alcuni scrittori hanno scelto di non venire, altri di farlo, ma fuori dalla delegazione ufficiale. Tutto parte dal mancato invito a Saviano.
«Non sapevo…».
Ci dica della sua predilezione per la letteratura italiana. Pubblica Pavese, Pasolini, Bassani. E nella collana della Pléiade è appena entrato Calvino. Ma come sceglie i contemporanei?
«Accogliamo solo la qualità, li valutiamo uno a uno. I nostri editor e scout sono molto attenti. Può anche accadere che sia un altro editore a consigliarci. Nel nostro lavoro esistono le affinità elettive, vanno seguite. Il mio rapporto con Sandro Ferri passa attraverso i libri di Elena Ferrante. Ero molto amico con Roberto Calasso (tra l’altro pubblicato da Gallimard ndr). La nostra affinità elettiva si chiamava Milan Kundera, altra mia grande amicizia. Adelphi aveva pubblicato i suoi romanzi sei mesi prima di noi».
Com’era Kundera visto da vicino?
«Molto sensibile e intelligente ma si portava dietro il passato vissuto in un Paese comunista».
La Buchmesse è ancora un posto dove venire a scoprire libri?
«Non più, difficile che accada. Ci sono le mail, le contrattazioni avvengono prima. La Fiera rimane però un posto essenziale per consolidare le relazioni con altri editori».
Lei ha vissuto la Buchmesse nel corso del tempo. Era davvero così divertente, piena di feste, cene, mondanità come si racconta?
«Di sicuro era più calda, più amichevole, più aperta. Era un piccolo villaggio, ci conoscevamo tutti. Oggi è business, business, business. Dominano i grandi gruppi. Le conversazioni che si origliano in giro riguardano quasi tutte libri per i bambini e saggi di attualità politica. Nessuno sorride».
Lei però sorride molto…
«Un po’».
È anche l’editore dei premi Nobel Patrick Modiano o Annie Ernaux.
«Credo ancora si possa puntare sulle eccellenze. La letteratura vera non si trova tutti i giorni. Per scoprire i diamanti devi cercare, scavare, avventurarti. L’arte dell’editore è l’attesa. Bisogna saper aspettare il libro giusto, fare come il pescatore che spera in una buona pesca per garantirsi un po’ di tranquillità nel suo villaggio prima di andare a pescare di nuovo. Vale soprattutto per la letteratura. Naturalmente questo non vuol dire che i bestseller non siano per noi importanti, servono anche quelli, ma puntiamo su un catalogo che rimanga nel tempo».
È vero che da giovane avrebbe voluto studiare all’università filosofia e invece si fece convincere dalla famiglia a fare legge?
«Col senno di poi è stato meglio. Se non riesci a essere bravo come Jeaa-Paul Sartre è meglio che non studi filosofia».
Gli scrittori oggi come se la passano?
«L’ambiente è sempre più competitivo, hanno bisogno di un supporto anche psicologico. Così siamo costretti a un lavoro doppio: non solo seguirli sul piano letterario ma diventare una sorta di life coach».
Crede che l’Intelligenza Artificiale metterà a rischio il loro lavoro? Andrew Wylie ha raccontato a Repubblica di non temere affatto.
«L’IA è indubbiamente utile in alcuni settori, come quello medico, ma sono scettico sul fatto che riuscirà a riprodurre l’unicità dei grandi libri. Nessuna macchina può creare qualcosa come Harry Potter».
Un autore che non ha in catalogo e avrebbe voluto pubblicare.
«Samuel Beckett».