la Repubblica, 18 ottobre 2024
Intervista a Ambrogio Fasoli sulla centrale a fusione
Prima del 2005 c’era un bosco. Per 15 anni è rimasta una spianata grigia grande come 5 campi da calcio. Oggi la centrale in cui si accenderà una goccia di Sole sulla Terra è completa al 90 per cento. Iter, il reattore per la fusione nucleare di Cadarache, sud della Francia, ha festeggiato l’arrivo dell’ultimo dei 18 magneti da 320 tonnellate. Hanno il compito di contenere la goccia di fuoco della fusione a 150 milioni di gradi di temperatura: più calda del centro del Sole. «Non vuol dire che si partirà domani. Le prime operazioni sono previste per il 2036. Ma non deve sembrare un traguardo lontano. La fusione nucleare è la cosa più complicata che l’umanità abbia mai realizzato, almeno in nome della pace. Accenderla ormai non è più un se, ma un quando». Ambrogio Fasoli è un fisico milanese che insegna al Politecnico di Losanna e dirige Eurofusion, il consorzio di 29 paesi incaricato di prendere il testimone di Iter – un reattore da 20 miliardi usato come test scientifico – e trasformarlo in centrali produttive, cioè in lampadine accese nelle nostre case. «Con la fusione fra pochi decenni l’umanità avrà energia in abbondanza. Per fornire a Milano un anno di elettricità oggi serve tanto carbone da riempire San Siro. Con la fusione basterà un sacco di deuterio e trizio, due isotopi dell’idrogeno: elementi simili cioè all’atomo più semplice e diffuso nell’universo». Fasoli e decine di esperti di fusione si incontrano oggi a Roma per una conferenza all’Accademia dei Lincei.Cos’è la fusione nucleare?
«La reazione che alimenta le stelle dell’universo. Unisce nuclei di atomi leggeri trasformandoli in altri nuclei, un po’ meno leggeri. In sostanza muta l’idrogeno in elio. Avvicinare e poi unire due nuclei non è banale: entrambi hanno carica positiva e si respingono. Solo un’energia enorme, sotto forma di calore, può portarli a distanze sufficientemente piccole. Non parlo di mille o 10mila gradi, ma di 150 milioni di gradi. Nessun contenitore resiste a questa temperatura. La materia diventa una zuppa informe di nuclei ed elettroni chiamata plasma che, come nelle stelle, cerca di sgusciare da tutte le parti. Realizzare la bottiglia dove mettere la goccia di Sole è un compito non banale. Usiamo campi magnetici a forma di tokamak (cioè di ciambella), generati da magneti che funzionano a temperature bassissime, vicine allo zero assoluto. Nei reattori a fusione troviamo così a distanza di pochi centimetri la temperatura più fredda e una delle più calde del cosmo».
Difficoltà, costi, ritardi nella tabella di marcia di Iter. Una battuta recita: la fusione è l’energia del futuro e sempre lo sarà. Perché lo fate?
«Un chilo dei combustibili attuali ci fornisce 20-40 megajoule, un’unità di misura dell’energia. La fissione nucleare, la reazione dei reattori che già usiamo, fa un salto a 50 milioni. La fusione raggiunge i 350 milioni. L’abbondanza di energia è la migliore premessa per un pianeta più sano».
La fusione è pericolosa, radioattiva inquinante?
«Non c’è una reazione a catena che può sfuggire di mano. Se il reattore si spegne si raffredda da solo. Come combustibili usiamo piccole quantità di deuterio e trizio. Il primo è abbondante nell’acqua, il secondo è più impegnativo – si ottiene dal litio – ma può essere prodotto all’interno del reattore, non è concentrato in Medio Oriente e non ha bisogno dei marines per aggiudicarselo. I neutroni liberati dalla reazione rendono debolmente radioattive le pareti del reattore, ma per tempi più brevi rispetto alla fissione. Il prodotto di scarto della reazione è elio, il gas usato per gonfiare i palloncini».
La fusione darà benefici ai nostri figli, più che a noi. Come ci si sente a lavorare a un progetto di cui forse non si vedrà il successo?
«Non ci sono tantissime cose per cui battersi in nome dell’umanità. Lasciare un pianeta più pulito, senza carenze di energia e quindi più pacifico, è una di queste. Siamo costruttori di una cattedrale da lasciare in eredità alle generazioni future. Ci sentiamo un po’ dei Prometeo. Il parallelo è stato usato anche per Oppenheimer e gli scienziati della bomba atomica, ma la loro fiamma ha portato distruzione, la nostra sarà un veicolo di pace».
Perché Iter dovrebbe rendere il mondo più pacifico?
«L’idea di Iter nacque nei colloqui per il disarmo fra Reagan e Gorbaciov. A Iter collaborano 30 paesi, incluse Cina e Russia. Mosca, esclusa da ogni consesso internazionale, fornisce puntualmente i suoi componenti per Cadarache. Far lavorare insieme 30 paesi non è il modo più efficiente per realizzare un progetto così difficile, ma permette a tutti di sviluppare le capacità produttive e, quando sarà il momento, costruire un reattore. Se vuol dire rallentare di un po’ il traguardo, ben venga. È sempre in nome della collaborazione fra paesi».
Ma quanto manca al traguardo?
«Non abbiamo problemi a raggiungere la temperatura di fusione. Sappiamo confinare il plasma nel tokamak, anche se con qualche difficoltà. Sappiamo estrarre l’energia generata dalla reazione e produrre il trizio nel reattore. Non sappiamo ancora fare tutte queste cose insieme, né produrre più energia di quanta ne immettiamo. Non c’è da credere a quei progetti privati che promettono la fusione fra un anno e mezzo, ma ci arriveremo. Non ho più dubbi ormai».