la Repubblica, 17 ottobre 2024
Satispay, quando l’unicorno perde lo smalto
Si chiamano Unicorni e sono quelle società che vengono valutate un miliardo ancor prima di poter certificare il proprio valore con la quotazione in Borsa. In Italia, il caso più celebre è Satispay, la società che si occupa di pagamenti attraverso il telefonino.
Il round dei record.
A settembre 2022, in occasione di una raccolta fondi per finanziarne la crescita, Satispay raccolse capitale per 320 milioni di euro, una sottoscrizione monstre che attribuiva all’intera società una valutazione da unicorno, oltre il miliardo.
Il tempo passa.
A distanza di due anni, però, a vedere i numeri di bilancio, appare difficile sostenere che Satispay possa ancora garantire quelle valutazioni o che lo possa fare in un vicino futuro.
Una start up vecchia di 10 anni.
A dire il vero, già il giudizio espresso dagli investitori nel 2022 era stata alquanto generoso, perché Satispay già allora non poteva sostenere di essere una start up alle prime armi con del tempo davanti per crescere perché aveva alle spalle quasi dieci anni di attività e la sua redditività era già abbondantemente negativa.
Gli albori.
La sua fondazione risale al 2013, quando Alberto Dalmasso, Samuele Pinta e Dario Brignone ebbero l’intuizione di cavalcare l’onda del Fintech, che sembrava la nuova eldorado della finanza.
Eppure, in un arco di tempo così lungo Satispay non è mai stata in grado di dimostrare la sostenibilità del proprio business, anche se i suoi amministratori hanno convinto molti privati e fondi di investimento a investire nella loro società.
Lee Jared Fixel...
Ad oggi i principali azionisti, oltre ai fondatori (Brignone con l’8,39%, Dalmasso col 6,93% e Pinta con l’1,2%) sono nomi importanti della finanza internazionale come il fondo Addition Three Ventures (18,94%) che fa capo al venture capitalist Lee Jared Fixel, famoso nel mondo delle start up per essere stato il numero uno di Tiger Global, il private equity da 16 miliardi di dollari, fra i primi a investire in Facebook, Spotify, Uber e Peloton.
… e gli altri azionisti.
Insomma, non uno qualunque, come non lo sono nemmeno gli altri azionisti che negli anni hanno rastrellato i titoli di varie tipologie: il lussemburghese Lightrock growth fund col 7,7%, il colosso tecnologico cinese Tencent, famoso per Wechat, col 6,2% e il fondo delle Cayman Greyhound capital partners III, già finanziatore di Revolut e N26, col 5,6%. Tra gli italiani, spiccano i fondi di Mediolanum con il 2,6% e altri 260 piccoli azionisti.
Il bilancio 2021.
Dopo quasi dieci anni e una raccolta fondi di 110 milioni di euro, a fine 2021 Satispay poteva contare sì su 2,2 milioni di utenti consumatori e 170mila esercenti registrati alla piattaforma, ma i suoi ricavi consolidati da vendite e prestazioni si fermavano a soli 6,3 milioni di euro dai 4 dell’anno precedente a fronte di costi per circa 32 milioni che hanno portato quell’esercizio a una perdita di quasi 26 milioni di euro.
Servono soldi.
Già a fine 2020, la liquidità si era ridotta a 2 milioni di euro tanto che nel corso del 2021 viene lanciato un aumento di capitale da 50 milioni di euro che attira sempre grandi nomi come i già citati Lightrock e Tencent, tuttora nel capitale, e altri usciti come Telecom Italia Ventures e la società di Jack Dorsey, Square (poi Block).
Servono altri soldi.
Coi fondi raccolti si scollina al 2022, ma i soci si accorgono che i fondi non bastano per arrivare alla fine dell’anno e diventa necessario un nuovo round.
A settembre, il colpo grosso da 320 milioni, quello da unicorno, che con un aumento di capitale da 140 milioni permette di ripianare la perdita del 2022 chiuso con un buco da 60 milioni di euro e di affrontare con tranquillità il 2023 terminato con un altro rosso da 46,3 milioni.
La debole salute del business.
A fine dello scorso anno gli utenti consumatori, come anche gli esercizi registrati alla piattaforma, erano quasi raddoppiati rispetto al 2021, rispettivamente a 4,2 milioni e 300mila, ma anche le perdite hanno avuto più o meno lo stesso ritmo, a fronte di soli 22 milioni di ricavi da servizi e prestazioni.
La “continuità aziendale”.
In tanti anni, il trend non si è mai invertito e alla crescita della clientela non è mai corrisposto il miglioramento dei conti aziendali. Tanto che nella relazione al bilancio 2023 della capogruppo gli amministratori si sono sentiti in dovere di introdurre un capitolo intitolato “Valutazione del presupposto della continuità aziendale”.
Che grazie a un patrimonio netto positivo per 155 milioni di euro e a una liquidità per quasi 50 milioni per ora non è messa in discussione, ma che potrebbe non essere così per il futuro se 1) i conti continueranno ad andare male e 2) non fosse più possibile la raccolta di capitali freschi.
Del resto, questo secondo punto è più che probabile, perché ad aiutare le sottoscrizioni in passato era stata l’abbondante liquidità presente nel sistema finanziario dovuto ai bassi tassi di interesse.
Il cambio di clima.
L’ultimo round che ha regalato a Satispay lo status di unicorno è arrivato nell’estate 2022, quando il tasso sui deposti era ancora a zero. Da settembre 2022 in poi, il clima è cambiato con la Banca centrale europea che ha continuato, dopo il primo ritocco di luglio, ad alzare i tassi per due anni di fila. E ad oggi non siamo ancora tornati in un mercato in cui la liquidità è abbondante.
Il richiamo dei revisori.
Non si tratta ancora di un allarme, ma anche EY, i revisori dei conti di Satispay, ha voluto sottolineare nella sua relazione al bilancio 2023 quel capitolo della nota integrativa sulla continuità aziendale con un “richiamo di informativa”, in cui si sottolinea che non è in dubbio la sopravvivenza per un periodo non “inferiore ai prossimi dodici mesi”.
Come dire, vediamo il bilancio 2024 e poi capiamo se le prospettive sono ancora da unicorno.