La Stampa, 17 ottobre 2024
I sauditi vogliono licenziare Mancini
Facile dire che i soldi hanno portato Roberto Mancini in Arabia e quelli, si sa, non fanno per forza la felicità, ma il rapporto con la nazionale saudita potrebbe essere già finito e, come tutte le storie che non funzionano, non si lascia certo archiviare così facilmente.Quasi trenta milioni di euro l’anno per allenare: una lente tanto deformante da definire ogni cosa. Mancini abbandona l’Italia nel bel mezzo delle qualificazioni per l’ultimo Europeo, se ne va in un Paese privo di tradizione calcistica, con svariati problemi con i diritti umani e tutto inizia a girargli storto. La squadra non gli dà retta, il talento latita e i pochi giocatori che potrebbero raggiungere un livello accettabile non hanno i minuti per riuscirci. La Premier saudita punta sugli stranieri, si nutre di nomi conosciuti, strangola le possibilità dei locali che passano dalla panchina alla nazionale. Mancini fatica più del previsto e pace, è pagato per farlo, ma si spazientisce, discute con i giornalisti, accusa i giocatori di non prendersi responsabilità, si ritrova nella bassa classifica di un girone Mondiale che ora è un incubo.Due punti nelle ultime tre partite in casa, a Gedda, e litiga pure con i tifosi. Li manda a stendere. Sconfitta con il Giappone, pareggio con il Bahrein, agonia. Il presidente della Federcalcio Al Misehal addirittura si scusa via tv della brutta figura, dice: «Non è accettabile». Mancini risponde: «La decisione di restare non dipende più da me». Sembra proprio quel momento in cui l’Arabia sta pensando a un altro: forse è biondo, ha il ciuffo e ama le camicie bianche come il Mancio, solo che è francese e si chiama Hervé Renard. È già stato lì, conosce il lavoro, ed è il nome che gira.Mancini ha un contratto, di quattro anni, rescinderlo comporta strascichi e anche se per i sauditi non è un problema di dollari, chiudere l’avventura così sarebbe un fallimento. Mancini era il fascino, il nome importante da mettere su un progetto vincente che pareva pure semplice. Il tecnico campione d’Europa (lo era ancora) che saluta l’Italia per seguire il futuro. Sempre per un sacco di denaro, ma comunque per gli arabi è esaltante pensare di avere una guida tanto rispettata. È uno strappo, la chiara volontà di andare verso la Vision 2030, l’etichetta sul piano di rinnovamento socioculturale, con una nazionale che sa portare il ruolo. Mancini è pagato tanto anche e soprattutto per rappresentare e non gli riesce. Perché è Mancini.Anche a quasi 30 milioni l’anno senza bonus (fin qui non maturati) resta un uomo che conosce il calcio, che sapeva esattamente che cosa fare con il pallone e diventa insofferente quando capisce di non avere il materiale umano per mettere in campo le sue idee. Gli è successo con l’Italia in crisi, figurarsi con l’Arabia. Si indispettiva quando lo si stuzzicava qui da noi perché era il testimonial ideale di molti sponsor, è normale che scatti davanti alle domande di un reporter giapponese sul suo stipendio in rapporto agli scarsi risultati: «Vuoi vedere il mio conto?».Ed eccoci qui, nel momento in cui è semplicissimo pensare che il destino lo abbia punito per la scelta venale, però il giudizio dipende dal fatto che siamo comprensibilmente offesi. Mancini si è fatto coprire di ricchezza per fare quello che gli piace e l’intero sport (anche se non tutti i singoli) gradisce le attenzioni dei sauditi. Sinner sta giocando lì proprio ora, nello stesso mondo smaltato d’oro che usa i campioni per propaganda. La scelta di Mancini non era romantica, il modo in cui la vive un po’lo è e proprio per questo forse siamo ai titoli di coda. Lui cerca un Mondiale da protagonista che gli sfugge da sempre, da calciatore come da allenatore. Solo che ci vuole stare dentro a modo suo e pare non gli riesca neanche stavolta, neppure pagato più di chiunque per costruire il suo stesso sogno.