La Stampa, 17 ottobre 2024
L’ad di Tether contro la tassa sulle criptovalute
«La decisione del governo di portare le tasse sulle rendite da Bitcoin al 42% è illogica e pericolosa. Colpirà soprattutto i giovani e le aziende italiane nate in questo settore. Avrà un unico effetto: aumenterà la fuga di capitali e di cervelli dal nostro Paese». Nel mondo delle criptovalute, Paolo Ardoino è probabilmente l’italiano più celebre. È fondatore e guida di Tether, azienda dietro una valuta digitale dal valore stabile e ancorata al dollaro che vanta una capitalizzazione di 119 miliardi. Muove ogni giorno 53 miliardi di transazioni e solo nella prima metà del 2024 ha generato 5,2 miliardi di utili. Che giudizio dà alla decisione del governo?«È una scelta sbagliata, illogica e senza precedenti. Da italiano mi ferisce. Tassare le rendite più di tutte le altre è il culmine di una guerra al settore che va avanti da 10 anni».Perché illogica?«In conferenza stampa il viceministro Leo ha detto ai aumentano le tasse sulle rendite perché Bitcoin è diventato uno strumento più popolare. Cioè il principio è: visto che aumentano i suoi possessori, portiamo le tasse di chi li possiede dal 26% al 42%. È miope e pericoloso».In Italia si stima che i possessori di cripto siano 2,5 milioni, per circa 2,5 miliardi. Chi sarà più colpito?«I giovani, che sono la stragrande maggioranza dei possessori. A loro si sta dicendo che l’Italia tassa un’innovazione e la tassa più di altre cose. Questo scoraggerà ulteriormente chi vuole fare innovazione e creare aziende tecnologiche».Molti sui social dicono di voler lasciare l’Italia.«Non lo faranno tutti, ma molti penso di si. E poi sia chiaro, chi lascerà l’Italia sono i grandi possessori di Bitcoin, e sono tanti. Chi pagherà saranno i piccoli e medi risparmiatori».Che ne sarà delle aziende italiane del settore?«C’è un rischio sistemico. Una delle cose peggiori nella vita è non avere certezze. A queste aziende non solo non ne vengono date, ma vengono anche penalizzate più di altre. O venderanno o andranno via».Un concetto ricorrente nelle sue risposte è la fuga.«Bitcoin è un portafoglio digitale che ti porti ovunque. Il valore di Bitcoin è slegato dal Paese in cui ci si trova. È un modo diverso di intendere la ricchezza. E se un Paese offre condizioni migliori, uno va. Noi italiani siamo storicamente abituati».Lei perché è andato via?«Per necessità. Guadagnavo 800 euro come ricercatore. Ogni anno in attesa di un rinnovo. Ogni anno con la paura di non averlo. Ripeto, vivere senza certezze è la cosa peggiore».Oggi però è uno degli uomini più ricchi d’Italia. C’è chi pensa che la ricchezza dei possessori di cripto sia iniqua perché finora è sfuggita al fisco.«Conosco molta gente che ha cripto e vuole pagare le tasse. Anche al 26%, come avviene con gli altri investimenti. Ma mi faccia dire una cosa».Prego.«C’è una logica sbagliata in tutto questo. Io ho fatto impresa scommettendo su un’innovazione. L’Italia non ha mai premiato chi vuole fare innovazione. Non ha mai capito dove andava il mondo, anche prima delle criptovalute. Conosco menti incredibili nel nostro Paese che non vengono valorizzate, che a un certo punto si stancano e vanno via. E poi, se qualcuno riesce in qualcosa non solo non viene aiutato, ma criminalizzato».Darebbe un consiglio all’esecutivo?«Che facciano norme e leggi dopo aver studiato un settore. Si facciano aiutare da qualcuno. Quello che hanno fatto con le cripto ha dimostrato che non conoscono né l’industria, né il suo potenziale. E neppure le conseguenze enormi che avrà questa scelta sull’intero Paese».