la Repubblica, 17 ottobre 2024
Un libro sull’hotel American Colony di Gerusalemme
A Gerusalemme tutti vivono in attesa di qualcosa. La guerra o il Messia, l’inferno o il paradiso. Qui passato e presente si confondono nella dimensione del perenne immutabile. Alberto Stabile, per più di trent’anni inviato di politica estera di Repubblica e poi corrispondente da Israele, Russia e Medio Oriente, quella città la conosce bene. C’è arrivato per la prima volta nella primavera del 1988 quando era appena esplosa la rivolta dei palestinesi contro l’occupazione, l’Intifada come venne chiamata in arabo e poi in tutte le lingue. «Fu quella – spiega Stabile – l’origine di una nuova fase dello scontro culminato nel giorno in cui tutti gli schemi, le analisi, le verità e le previsioni sono saltati. Il 7 ottobre del 2023».La guerra infinita tra israeliani e palestinesi è stata raccontata in centinaia, forse anche migliaia di libri, romanzi, saggi, trattati di storia. Nessuno, però, aveva pensato di declinarla attraverso gli occhi dei personaggi di un grande albergo, da sempre quartier generale degli inviati di tutto il mondo e sede di incontri – più o meno segreti – tra i leader delle opposte fazioni. L’American Colony a Gerusalemme è quasi un’istituzione: «Per me è stato molto più che un luogo di prolungati soggiorni e d’incontri estemporanei – scrive il giornalista siciliano – È stata una finestra spalancata su una realtà complicata che non conoscevo». La realtà che Stabile riporta in un libro prezioso, Il giardino e la cenere, appena pubblicato da Sellerio, nel quale l’autore intreccia i volti di un hotel leggendario alle vicende che non hanno mai smesso di insanguinare unlembo di terra conteso da popoli che, incredibilmente, credono in un unico Dio. «Da quelle parti il conflitto è tutto – dice Stabile – è il motore della Storia. Il “genius loci” che puntualmente si rivela, l’orizzonte di tutti i destini che si agitano sulla scena». Ecco perché il conflitto è l’essenza del libro, svelato nella devastazione di Gaza come negli occhi dei superstiti degli attentati, nelle pietre lanciate contro i soldati israeliani e nei video agghiaccianti degli ostaggi del 7 ottobre. Perché è inutile girarci intorno, quel giorno è cambiato tutto. «D’ora in avanti – spiega l’autore – ci sarà sempre un prima e un dopo il 7 ottobre».Stabile inquadra questa lunga, interminabile stagione di odio dalle stanze del Colony: la Pasha Room, attrazione che l’albergo riserva solo agli ospiti speciali, il bar di Ibraham nel quale gli inviati si incontrano alle fine di giornate piene di “pezzi” da mandare al giornale, il ristorante nel quale i camerieri – palestinesi come quasi tutti i dipendenti dell’hotel – conoscono ormai i gusti dei clienti. C’è Abbas, un tipo mingherlino con un paio di baffetti ispidi sulle labbra sempre piegate in un sorriso ironico, e poi Ghassan, il culturista di religione greco-cattolica, con una piccola croce nera tatuata sul dorso della mano, spalle quadrate e braccia forti come tronchi d’albero. Senza dimenticare i veri dominus dell’hotel, i tassisti, i più amati e contesi perché beccare un autista in grado di superare agevolmente i posti di blocco permette agli inviati di risparmiare ore e ore e di poter inviare più in fretta i loro reportage ai capiredattori che scalpitano.E poi c’è lei, Anastasia, la giovane fotografa americana di origini georgiane che per Stabile è stata molto più che una compagna di lavoro. Perché il Colony è anche questo, un luogo nel quale sono sbocciati amori quasi sempre destinati a mostrarsi effimeri. Anche Anastasia, è inevitabile, prima o poi svanirà lasciando spazio a Munther il libraio o alla bottega di antiquariato di Munir. E ai grandi eventi della Storia, dalla stretta di mano tra Arafat e Rabin all’omicidio del primo ministro israeliano fino a quella terribile giornata di un anno fa che sembra aver affossato per sempre le speranze di una pace “impossibile”.