il Fatto Quotidiano, 16 ottobre 2024
In udienza dal papà, il Rabbi
“Una volta, dopo aver portato a casa un’aringa per mia madre, andai sul balcone e cercai di capire di cosa parlasse il giornale in cui l’avevano incartata… Per mio padre la risposta a tutte le domande era Dio. Ma come sapeva che c’era un Dio, se nessuno Lo aveva mai visto?”. Ritratto dell’artista da cucciolo, futuro Premio Nobel per la Letteratura: Isaac Bashevis Singer (1904-1991) cresce spiando e origliando alla porta dello studio di papà, rabbino a Varsavia. Poi ne fa un romanzo di formazione, picaresco come il memoir giovanile impone, da Le avventure di Huckleberry Finn a La vita davanti a sé: Alla corte di mio padre – Bet Din nell’originale yiddish – racconta il luogo magico dell’infanzia, “fra tribunale, sinagoga, casa di studio e lettino dello psicoanalista, dove chi aveva l’animo turbato poteva venire a sfogarsi… Un esempio infinitesimale del consiglio di giustizia celeste, il giudizio di Dio, che gli ebrei considerano assolutamente misericordioso”.
Tradotta da Silvia Pareschi e curata da Elisabetta Zevi, la raccolta di 49 (numero mistico ché è il quadrato di 7) storielle è edita ora da Adelphi: inizialmente uscì a puntate sul quotidiano Forverts, fu pubblicata in yiddish nel 1956, in inglese nel 1966 e in italiano nel 1970 (Longanesi). Il rampollo del Rabbi è un “pensatore” nato, un esattore mancato, un affabulatore geniale, un indomito curioso: “Dov’era Dio di cui si parlava sempre in casa nostra? Sentivo di dover risolvere quell’enigma da solo… Anche prima che imparassi a leggere o a scrivere, ero ossessionato dai paradossi del tempo, dello spazio e dell’infinito”.
Gli anni passano, gli enigmi restano, ma nel frattempo arriva il Nobel, nel 1978. È quasi un secolo prima quando Isaac, tre anni e un sogno nel cassetto – “scoprire un telescopio che vede dentro il paradiso” –, si trasferisce con la famiglia a Varsavia dove il padre presidia una corte, non distante da bordelli e case di studio, al 10 di via Krochmalna, crocevia di varia e bizzarra umanità che citofona a Rav Singer (Zinger, per la precisione) per udienze, sentenze, consigli, aiuto: una vecchia vuole divorziare per premettere al marito di sposare una donna ancora fertile; una lavandaia gentile, goy e cortese, finisce dritta nell’Eden dopo aver adempiuto il suo ultimo dovere, il bucato; il capo della malavita locale si presenta coi rivali armati di pistola; un giovane suicida merita degna sepoltura; un’arcigna “tartara, con un paio di baffi da donna e una barbetta a punta”, spergiura sui rotoli della Torà; e poi, “scintille divine nel fango”, folletti e demoni, ladri in sinagoga, “bestemmiatori sionisti”, venditori di spazi nell’aldilà, testamenti chilometrici, dispense per la poligamia, la prima Guerra mondiale, la fame, i miracoli, i treni per Treblinka…
Tutto passa da questo microcosmo familiare intriso di “puritanesimo ebraico”, il cui protagonista – il patriarca – discende addirittura da un discepolo del Baal Shem Tov (il fondatore del hassidismo, ndr): Pinchos Menachem è buono e pio, amante dei compromessi e fumatore silenzioso, “ingenuo e lontano dalle faccende terrene”, ossessionato dai “trentasei giusti nascosti”, gli umili, i semplici, gli ultimi; un uomo fuori luogo nel mondo, a suo agio solo tra i libri perché “se c’è un risposta da qualche parte dev’essere lì”. La matriarca Bathsheba, invece, è figlia di un rabbino dispotico e temutissimo e, come lui, “razionalista e scettica”. Eppure “conosce la Bibbia ancora meglio del padre”, ha sogni premonitori e veraci e risolve molti dei casi misteriosi sottoposti al Rebbe, come quello delle oche strillanti ancorché morte o quello del figlio bastardo abbandonato…
Alla corte si aggiungono amici e parenti, in primis la sorella melodrammatica e freudiana Hinde Esther e l’eccentrico fratello Israel Joshua che “contagia” Isaac con le sue “idee moderne”, la sua filosofia, il suo amore per l’arte e la perdizione, da Delitto e castigo in giù. Il maggiore è il figlio scapestrato: “Miscredente! Nemico di Israele”, lo rimbrotta papà, mentre mamma lo considera idolatra, buddista e adoratore di coccodrilli. Il piccolo Isaac – di dieci anni più giovane – vede in lui però un maestro, di quella particolare spiritualità chiamata letteratura. “Mio padre aveva senz’altro sentito dire che io e mio fratello eravamo scrittori, ma decise che facevamo i giornalai. ‘Commerciate ancora in giornali?’ ci chiese l’ultima volta che lo vedemmo”. Dall’altro lato di via Krochmalna, al numero 10.