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 2024  ottobre 16 Mercoledì calendario

Manovra, perché bastano le briciole da banche&C.

La pistola dell’aumento temporaneo dell’Ires per le banche e gli altri settori (assicurazioni, difesa, energia) che stanno facendo soldi a palate è rimasta sul tavolo. Il governo, anche per le pressioni di Forza Italia (partito di fatto in mano ai fratelli Berlusconi, azionisti di Mediolanum), ha scelto la strada dell’appeasement: niente nuovi introiti, ma la riprogrammazione di alcuni sconti fiscali per rinviarli – spalmandoli su più annualità – a dopo il 2027.
Oltre al difetto di forza politica, c’è anche un motivo contabile per cui Giorgia Meloni e soci possono accontentarsi di questo trucchetto al posto di un intervento sugli extra-profitti: le difficoltà del governo nel chiudere il bilancio pubblico riguardano soprattutto il 2025, mentre la maggior crescita del recente passato, sancita dall’Istat nell’ultima revisione dei conti nazionali, ha liberato un discreto spazio fiscale nel 2026 e, soprattutto, nel 2027. Tradotto: inflazione, Superbonus (dalle costruzioni è arrivato il 93% della crescita reale dal 2021) e una dinamica favorevole delle entrate pagheranno le prossime manovre, altro che “buco”.
Andiamo con ordine. L’ultima revisione dei conti nazionali ha aumentato la crescita e dunque il Pil. L’effetto sui conti pubblici è che a livello “tendenziale” – cioè senza interventi di politica economica – il deficit sarebbe sceso nei prossimi anni molto più velocemente del previsto e di quanto necessario a rispettare i nuovi vincoli Ue: dal 3,8% del Pil di quest’anno al 2,9 nel 2025, al 2,1% nel 2026 e all’1,5% nel 2027. Il ministro Giancarlo Giorgetti ha dunque potuto tracciare un profilo di deficit “programmatico” (cioè tenuto conto di cosa vuol fare il governo) meno ripido: dal 3,8% del Prodotto interno del 2024 si passa al 3,3% l’anno prossimo, al 2,8% nel 2026 e al 2,6% nel 2027. Per chi si annoia con le percentuali lo diremo in soldi, come sancito anche dall’Ufficio parlamentare di bilancio e dalla Corte dei Conti nella loro analisi del Piano strutturale di bilancio: la differenza tra deficit tendenziale e programmatico, regala al governo spazio per 9 miliardi di euro nel 2025, 15,5 miliardi nel 2026 e 25,6 miliardi nel 2027.
Chiarito questo, torniamo alla manovra, che è all’esame del Cdm mentre andiamo in stampa: a quanto pare varrà circa 25 miliardi, quasi tutti per confermare e in parte rendere strutturali misure già in vigore (taglio del cuneo fiscale e dell’Irpef, sgravi vari tipo Zes unica o welfare aziendale, etc.) più alcune spese indifferibili (missioni militari, soldi per il contratto degli statali, eccetera). Come si vede, il vero problema è coprire tutte queste uscite per l’anno prossimo: mancano una decina di miliardi al netto dei circa 6 già a bilancio per la riforma fiscale e dei 9 di maggior deficit. Dal 2026 e ancor più dal 2027 quelle spese sono già coperte dalla differenza tra deficit tendenziale e programmatico: per questo Giorgetti può accontentarsi di spostare al futuro qualche miliardo di crediti fiscali in mano a banche & C., facendo pure felice Antonio Tajani e i suoi dante causa.
Il problema del governo adesso è convincere la Commissione Ue a considerare una copertura potabile un’operazione “una tantum”, esplicitamente esclusa dal Patto di Stabilità, ma non dovrebbe essere un compito difficile visto che le nuove regole sono al debutto. Più difficile, alla lunga, sarà spiegare agli elettori che la politica economica della destra è stata confermare quella del governo Draghi.