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 2024  ottobre 16 Mercoledì calendario

Intervista a Walter Sabatini

C’è il mondo dei perfetti, di quelli che paiono sapere sempre tutto, e la realtà di quelli che impennano, cadono e si ammalano di rimpianti. Walter Sabatini, 69 anni, ex plenipotenziario di mercato di Roma e Inter, fa parte di questa seconda categoria. Per questo ascoltarlo ha qualcosa di oracolare che il sapore del tempo perduto.Sabatini, dopo tutti i suoi problemi fisici, in salute sta meglio lei o il calcio italiano?
«Meglio io. È da quando ero adolescente che sento parlare delle criticità del nostro mondo».
Come sempre, i club sono di nuovo a chiedere aiuti allo Stato. Ma perché i governi, di qualsiasi colore, dovrebbero dare fiducia a un sistema incapace di rigenerarsi?
«Perché è fra le prime cinque industrie del Paese, genera milioni di fatturato e produce un campionato che per me è il massimo. Mi parlano di Premier, di Bundesliga, ma dal punto di vista tattico non c’è nessuno come la Serie A. Guardate la Nazionale: gioca benissimo. Con Spalletti avrà un grande futuro».
Ad alcuni dirigenti di Serie A, però, non faremmo gestire neppure un condominio. Figuriamoci una società che fattura milioni.
«È vero, alcuni sono impresentabili, il livello è piuttosto basso. Occorre sensibilità, cultura, ma anche culo».
È anche una questione filosofica. Essere soddisfatti più per un quarto posto che per una Coppa Italia non è la tomba dell’entusiasmo?
«Certo. Le grandi società devono pensare in grande e darsi obiettivi raggiungibili. Per esempio il fatto che la Roma non si stia svenandosi per andare in Champions mi fa arrabbiare. Invece non parteciparvi ormai pare visto con normalità, e questo mi offende».
Nel risanamento societario, è stato più virtuoso il percorso della Roma o dell’Inter?
«Per certi versi è stato simile, visto che a lungo entrambi hanno puntato sui parametri zero. Ma è un’arma a doppio taglio. Se porti giocatori a cui dai stipendi altissimi, scavi un fossato nello spogliatoio ed è pericolosissimo».
C’è più gap fra le due rose o tra Marotta e Ghisolfi?
«Marotta è un grandissimo, Ghisolfi nella migliore delle ipotesi è un bravo giovane dirigente. Agli stranieri devi dare qualche mese per ambientarsi, anche se alla Roma ho l’impressione che ancora non abbiano capito dove sono, come non l’hanno capito i Friedkin, che non hanno mai parlato con la gente. È un atto di un’arroganza insopportabile».
C’è un romanista che può essere titolare nell’Inter?
«Pisilli. Copre campo, ha personalità, muove bene la palla. È un ragazzo che può giocare in tutte le big».
Tenendo conto del rapporto costi-benefici, la permanenza di Dybala è stata positiva?
«Lo si può giudicare solo in base al numero delle partite, perché quando gioca fa la differenza. E quelle che ha fatto finora sono poche. Ogni grande squadra ha avuto un eroe, da Platini a Totti. Ne ha bisogno la gente per identificarvisi. Paulo per esserlo occorre che giochi di più. Invece ogni partita esce zoppicando. È sconfortante».
Ma allora perché la Roma potrebbe vincere contro l’Inter?
«Perché il calcio è un mistero che non sarà mai compiutamente svelato».
Da dirigente, perché scegliere come allenatore Juric o Inzaghi.
«Juric ha un bel temperamento ed è stato uno dei primi a fare un calcio gasperiniano. Inzaghi, che conosco dai tempi della Lazio, lo sceglierei perché dai tempi della Primavera le sue squadre giocavano benissimo. Riesce a trasferire ai giocatori buonumore, personalità e leggerezza. Guadi che non è poco».
Se Juric affondasse, richiamerebbe De Rossi?
«Io non lo avrei mai cacciato. Richiamandolo, fai un danno a Juric e forse anche a Daniele, che tornerebbe nello spogliatoio depotenziato, anche se sono convinto che, con la fame di Roma che ha, si rimetterebbe subito lo scafandro».
L’operazione Mourinho ha rallentato il progetto iniziale dei Friedkin o i benefici sono stati superiori?
«Di benefici francamente non ne ho visti, a parte la vittoria di una Coppa, che comunque rimane. In ogni caso Mourinho ha buttato dentro tanti ragazzi del vivaio ed è qualcosa che porta frutti».
Che differenze ci sono fra le proprietà Usa dell’Inter o della Roma?
«All’Inter c’era a fare da trampolino di lancio la famiglia Zhang e un management esperto. I Friedkin invece non hanno capito che la Roma senza la sua gente non è niente. L’affetto e l’adrenalina che genera questa città e questo ambiente li hanno totalmente ricusati».
La cosa più bella che ha fatto nell’Inter e nella Roma?
«In nerazzurro l’arrivo di Bastoni, che ho voluto con forza. Nella Roma ho fatte tante cose buone, ma non sta a me dirle. Comunque ho combinato anche qualche cazzata».
Allora ci dica le sciocchezze commesse.
«All’Inter essermene andato. Non ci sarà mai un motivo per spiegarlo. Sono stato un coglione incommensurabile. Non si lascia l’Inter, così come non si lascia la Roma, ma qui sono stato costretto. La scelta di Pallotta di nominare un consulente (Baldini, ndr) oscurava completamente la figura del direttore sportivo, che restava solo a fare il punching ball».
Alla Roma c’è bisogno di un dirigente che s’interfacci con lo spogliatoio e la gente?
«Certo. Occorre in tutti i club, figuriamoci qui».
Allora potrebbe servire il ritorno di Francesco Totti. Fa tristezza vederlo alla ribalta solo per gli spot pubblicitari, il padel e le partite di calcetto.
«Mi intenerisco anche io. Spero che gli offrano un ruolo operativo nella Roma. Avrà necessiterà di un po’ di tempo per imparare, ma non lo sottovalutiamo, perché ha le sue scaltrezze. Certo, dovrebbe mettersi d’impegno, svegliarsi presto la mattina e non dormire la notte, però gli spetterebbe di diritto per la gioia che ha regalato a milioni di persone».
Da dirigente, non avete sottovalutato il problema ultrà? Tra Lazio, Roma e Inter, dove è stato, ci sarebbe stato tanto da bonificare.
«Io non ho mai avuto problemi, ma l’ho sentito sempre come un potenziale rischio enorme. Cose come l’omaggio alla curva mi sembra troppo. La squadra deve rispettare i tifosi, ma occorre farlo con quelli della Sud o della tribuna Tevere allo stesso modo. Consegnare le maglie e i riti sotto la curva sono esagerazioni obsolete e superate».
Chi vince lo scudetto?
«Sulla carta l’Inter, ma il Napoli ha ricreato un ambiente vincente. L’effetto Conte è tangibile. Solo lui poteva farcela in un mese».
La Roma arriverà in Champions?
«Non accetto l’idea che non arrivi fra le prime quattro. Secondo me ha la squadra per arrivarci».
Per lei chiuderà davanti alla Lazio?
«Sulla carta dovrebbe, ma il d.s. Fabiani ha lavorato bene. Dele-Bashiru e Nuno Tavares, ad esempio, sono intuizioni geniali, gli attaccanti sono bravi. È una squadra forte, che migliora e ha tanti giocatori che risolvono, mentre nella Roma ne vedo pochi».
Le proponiamo un voto. Quando tornerà a lavorare in un club, per vincere lo scudetto rinuncerebbe al sesso per sempre?
«Sì, assolutamente. Anche perché così mi metto in pari con quello che ho fatto prima».