Il Messaggero, 16 ottobre 2024
La tregua Meloni - Schlein non regge al confronto con l’Aula
Si erano pure telefonate, giorni fa, Giorgia Meloni ed Elly Schlein per cercare di andare d’accordo almeno in politica estera, dove in effetti le posizioni della destra di governo e della sinistra d’opposizione non sono poli così lontane specialmente sull’Ucraina. E le rispettive diplomazie avevano timidamente cominciato a parlarsi, la scorsa settimana, per trovare una soluzione (difficile) che faccia cessare il fuoco delle due barricate rispetto all’elezione del giudice costituzionale – su cui qualche interlocuzione tra maggioranza e opposizione in verità esiste ancora in vista del voto del 29 ottobre sulla Consulta – e del presidente della Rai. E la parola «dialogo» rimbombava – chissà quanto sinceramente – nelle conversazioni miste in Transatlantico. Ma poi, come era facilmente prevedibile, tutto questo sfoggio di buona volontà e di pacificazione s’è squagliato in aula alla Camera ieri. Schlein ha rivolto a Meloni l’accusa per la premier più sanguinosa che possa esistere: quella di tradimento della patria. «È difficile – dice la segretaria del Pd mentre Meloni la guarda con aria di sfida – fare gli interessi dell’Italia quando ci si accompagna in Europa ai sovranisti, a Orban e a gente così». Quella che doveva essere la de-escalation – e che poteva esserlo a giudicare dai discorso in Senato di Calenda non scatenato e di Renzi che non ha fatto l’anti-Meloni duro e puro come ormai gli capita sempre e s’è limitato a dire: «Abbiamo assistito alla solita Meloni. Un po’ wonder woman, un po’ Calimero» – si è trasformata nel suo contrario. Schlein attacca a tutto campo: su sanità, precariato, evasione, diritti. Concludendo con un «state portando il Paese indietro ma noi vi fermeremo». Ed è implacabile Elly la Furia, arriva a dire così e i deputati di FdI sono visibilmente irritati per questo passaggio: «Presidente Meloni, noi siamo sempre stati contro l’antisemitismo a differenza delle giovanili del suo partito». Altro che possibile tregua, insomma. Del resto, si dice che già nelle famosa telefonata il clima era stato gelidino. Va bene l’unanime condanna alle azioni di Israele in Libano, ma poco di più. Per il resto, mondi lontani. E anche l’idea degli sherpa di trattare sui nomi della consulta, alla luce di ieri, sembra più lontana. Del resto Elly ha anche un problema dentro al centrosinistra: M5S sta crescendo, poco ma un po’, nei sondaggi. E siccome l’elettorato del partito di Schlein e del movimento di Conte è più o meno lo stesso, lei non può farsi surclassare da lui nel campo dell’ardore anti-destra. Per di più, Conte è intervenuto in aula prima di Elly e lo ha fatto in modalità super-combat. Poteva essere da meno Elly? No. Si spinge e definire «bulla» la premier: «Lei come al solito fa la forte con i deboli e la debole con i forti. Ha fatto un attacco da bulla a Sea Watch ma non alza mai la voce con Netanyahu». Conte aveva urlato più di Schlein. Definisce Meloni «ambigua» e «bugiarda» su tutto, «fa solo vittimismo». E se Schlein è aperturista (ma poco) su Fitto («voi scatenaste la piazza contro Gentiloni, noi aspettiamo di sentire Fitto»), Conte infilza così il commissario Ue: «Pessimo, non ha saputo attuare il Pnrr». Tutti e due sfidano Meloni ma entrambi, la coppia scoppiata dei leader dell’opposizione disunita, si sfidano anzitutto tra di loro.