La Stampa, 16 ottobre 2024
Biografia di Tullio Solenghi
Dentro la tasca di un qualunque mattino puoi nascondere un tovagliolo autografato, una passeggiata, una battuta che non faresti più, l’ottimismo al risveglio, le paure di un mondo che è una polveriera, il ricordo di un trionfo nato per caso. Tullio Solenghi ha 76 anni e tutti i pomeriggi e molte serate le passa a teatro. Nato a Genova, vive a Roma e in giro per i teatri italiani, radici sempre sulla collina di Sant’Ilario, quella della sua infanzia, di Bocca di Rosa cantata da Fabrizio De Andrè e da mezzo secolo laboratorio comico e politico del suo «amico» Beppe Grillo. Negli Anni 80 e 90 era quello del Trio, lui, Massimo Lopez e Anna Marchesini hanno rivoluzionato il modo di ridere in tv. Oggi riempie i teatri di tutta Italia anche con le commedie di un altro genovese, Gilberto Govi, che incontrò una volta sola più di 70 anni fa. Govi se n’è andato da un pezzo e anche Anna non c’è più, lei se n’è andata il 30 luglio di 8 anni fa. Con Massimo Lopez c’è invece un viaggio da ricominciare, in questi giorni a Teatro. Spettacolo dal titolo discorsivo, Dove eravamo rimasti. «Come ricorderemo questa volta Anna? Con una bellissima canzone di Gianmarco Testa, Dentro la tasca di un qualunque mattino. Sembra scritta apposta per lei, anche se non si conoscevano e sono morti lo stesso anno, a pochi mesi di distanza».
Partiamo da qui, come sono le mattine di Tullio Solenghi?
«Mi considero e mi considerano uno abbastanza solare».
Che fa dopo la sveglia?
«La mattina non prendo impegni, la dedico tutta a me stesso, anche per rispetto agli anni che porto: camminata veloce, stretching, perché il palcoscenico non è cosa da ridere. Il pomeriggio scrivo, butto giù progetti».
Qualcuno dice sia grafomane, è così?
«Abbastanza, sì. Tengo un diario che ha raggiunto le 780 pagine».
Quando lo ha iniziato?
«A fine Anni 80. Non scrivo tutti i giorni, seguo soprattutto l’itinerario delle mie tournée e poi aggiungo anche dei momenti privati miei e della mia famiglia».
Titolo, Dove eravamo rimasti. Dove?
«A prima del Covid, con il nostro pubblico. Abbiamo voluto ritrovarlo dopo la pausa forzata, raccontando sempre a modo nostro, quello del Trio, con personaggi diversi, ogni volta nuovi».
Ne cita un paio?
«Ci sarà una lectio magistralis di Vittorio Sgarbi e un duetto molto divertente tra il presidente Mattarella e Papa Francesco».
C’è un personaggio, una battuta, uno sketch che non ripeterebbe più?
«San Remo, Festival 1989. Mia madre, fervente cattolica, rimase turbata. Non tanto per l’idea, San Remo in realtà non esiste, non ci sarebbero neanche gli estremi della blasfemia. A colpire fu l’attacco del pezzo. In quel Festival c’era un cantante, Christian. Io iniziai con una sorta di predica, “Per Christian, con Christian e in Christian”. Oggi, pensando a mia madre, non la rifarei».
Tre anni prima la sua imitazione dell’Ayatollah Khomeini scatenò una crisi diplomatica con l’Iran.
«La notizia aprì il Tg1, vennero sospesi i voli Roma-Teheran, richiamati tre diplomatici italiani».
Oggi c’è una guerra anche in Medio Oriente, una continua escalation…
«Oggi quello sketch sarebbe un discorso da non praticare. La ferocia di questi conflitti è tale che qualsiasi zampillo può scatenare un incendio. Non penso che allora facemmo qualcosa di grave, credo che il settimanale Charlie Hebdo ne abbia fatte ben di peggio. Però oggi su quel tema me ne starei tranquillo».
Ha portato in scena i Maneggi del genovese Govi, un successo in tutta Italia.
«Sì, in teatro a Roma ridono come a Genova. A Palermo gli amici mi chiedono “quando porti Govi in Sicilia?”. Direi che supera i confini regionali, ma era così anche per le sue commedie in bianco e nero trasmesse dalla Rai».
Govi non solo maschera genovese, l’Italia va oltre i regionalismi?
«Quando c’è qualcuno che riesce a intercettare la voglia di un’emozione, lo seguiamo e amiamo tutti. Non solo in Italia. Succede così quando vogliamo alleggerire la nostra vita con una risata, con una gioia, che a regalarcela sia il genovese Govi o l’altoatesino Jannik Sinner».
Dopo i Maneggi, ora è in scena con Pignasecca e Pignaverde. Quando nasce la sua passione per Gilberto Govi?
«Eravamo bambini, stavamo giocando, a Sant’Ilario, e si sparse la voce che al ristorante c’era il grande Gilberto Govi».
E voi?
«Corremmo al ristorante, ci fece l’autografo su un tovagliolo immacolato. Da li è rimasto una sorta di ricordo di quello che consideravo un nonno affettuoso, che guardavo sbellicandomi in tv. Poi il sogno è sempre stato riportarlo in scena. E finalmente ci sono riuscito. Vorrei che anche i miei genitori, che non ci sono più, mi vedessero recitare Govi».
Nella sua Sant’Ilario oggi vive Beppe Grillo…
«Un amico, anche se non ci sentiamo, ma capita di incontrarsi».
In un’intervista di 7 anni fa aveva manifestato apprezzamento per le idee del Movimento. Oggi cosa ne pensa?
«A distanza di anni, forse inizia a denunciare qualche problema di ingordigia di potere o di divisione interna. Oggi non saprei più valutare da che parte sta il torto o la ragione. Ma a suo tempo ha buttato un sasso nello stagno ed è stata una cosa assolutamente positiva».
Con I Promessi Sposi il Trio creò un nuovo modo di fare comicità in tv…
«Fu una piccola pietra miliare nella storia della nostra tv. La comicità non era più l’ingrediente di qualche altro programma. Nessuno aveva mai osato camminare sul terreno di un’ora di comicità per sei puntate. In questo senso rimaniamo unici».
Come nacque l’idea ?
«Non da noi. L’idea fu di una signora che non ho più rivisto. Eravamo a un ricevimento, dopo uno spettacolo. Credo fosse il 1989, si parlava dei Promessi Sposi appena diretti da Salvatore Nocita, per la Rai. E questa signora, a bruciapelo, ci disse “perché non li fate anche voi?”. Rimanemmo folgorati».
I Promessi sposi fecero 12 milioni di spettatori…
«Credo 14, con una media di 12, la prima puntata gennaio 1990».
Perché proprio quella canzone di Testa per ricordare Anna Marchesini?
«È un brano evocativo, racconta di una figura femminile molto bella, che rimane come un sogno, un mito. Come Anna, per me e Massimo».