La Stampa, 16 ottobre 2024
Elogio al ministro Giuli, che si è comportato bene
La vicenda della nomina del nuovo capo di gabinetto del ministero della Cultura merita una riflessione. Certo, non è esattamente una figura che cambia il mondo, ma racconta molto bene la concezione che gli elettori di questa destra hanno delle istituzioni e contemporaneamente fa ben sperare nel nuovo ministro, Alessandro Giuli, che del resto per quanto si impegni difficilmente potrà fare peggio del suo illacrimato predecessore. Breve riassunto, allora. Venerdì, Giuli ha licenziato con un comunicato insolitamente secco il capo di gabinetto precedente. Le ragioni sono ancora misteriose e stanno molto eccitando i retroscenisti. In attesa di saperne di più, interessa la nomina del successore.Giuli ha infatti promosso il vicecapo, Francesco Spano, che per due anni aveva lavorato con lui al Maxxi. Spano sembra pochissimo affine al modello «Dio, Patria e famiglia». È stato capo della segretaria di Giuliano Amato e consulente del gruppo Pd alla Camera. Soprattutto, nel 2017, evo Gentiloni, quando era all’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali, fu coinvolto in un tipico scandalo italiano. Le «Iene» l’accusarono di aver finanziato con 55 mila euro un’associazione Lgbtq+ che pare organizzasse anche incontri sessuali a pagamento. A seguire l’abituale copione: articoloni sui giornali, indignazione generale ma a destra di più, apertura dell’immancabile inchiesta e dimissioni di Spano. La vicenda si risolse poi nel consueto nulla di fatto tranne, al solito, la distruzione della reputazione del diretto interessato. All’epoca, Meloni prese personalmente di mira Spano strillando che «non un euro in più delle tasse degli italiani deve essere buttato per pagargli lo stipendio». Oggi glielo paga lei, ennesimo esempio di come cambia la prospettiva quando si sta al governo: vedi il blocco navale anti immigrati, o le accise sulla benzina. La stessa Meloni, pare, ha dato ordine ai suoi di non commentare la scelta di Giuli, che invece è finito nel mirino dell’associazione Pro Vita e Famiglia, che già aveva raccolto quasi 15 mila firme quando il ministro aveva nominato Spano vicecapo e oggi parla di «indecenza politica». «Non abbiamo votato FdI per veder tornare in un ruolo chiave un funzionario di area Pd», scrive il suo portavoce Jacopo Coghe, denunciando una nomina che «tradisce i valori della famiglia e dell’integrità morale», chissà perché. Insomma, la tipica concezione fra il padronale e il tribale dell’ultradestra, curiosamente convinta che vincere le elezioni instauri un diritto di proprietà sullo Stato, e che i funzionari pubblici si scelgano sulla base delle loro appartenenze e non delle loro competenze. Interessante anche l’atteggiamento di Giuli, che ha tenuto duro sfidando i mugugni dei talebani, anche se sono quelli della sua parte. Il punto è che un ministro e il suo capo di gabinetto sono praticamente una coppia di fatto (e no, non nel senso che potrebbero pensare i Pro Vita) e il primo deve scegliere qualcuno in cui abbia completa fiducia.È lecito quindi sperare che Giuli segua lo stesso schema anche quando dirigerà la cultura italiana, specie in questo momento dove le nomine attese sono molte e molto importanti. A differenza di quel che spesso si pensa, la politica ha non solo il diritto, ma anche il dovere di occuparsi di cultura. Ma per fare, appunto, politica, cioè dare una visione, stabilire priorità e indicare obiettivi. Raggiungerli spetta invece ai tecnici: per chi votino, con chi vadano a letto e se piacciano o meno a Coghe è del tutto irrilevante. Giuli dovrebbe prima decidere cosa fare e poi chi sono le persone più adatte per farlo, possibilmente dotate di curricula adeguati. L’esatto contrario, insomma, del modo di procedere di Genny-la-gaffe e della sua allegra distribuzione di poltrone premio a camerati, amichetti e amici degli amici.