La Stampa, 16 ottobre 2024
Io, contribuente onesto, e il pizzo del concordato preventivo
«Luca, dobbiamo parlare». Il mio commercialista. Giorni fa. Per chiedermi come comportarmi, secondo coscienza o no, di fronte al ricatto appena subito. Perché sì, dai e dai, a furia di evocarlo senza senso, il «pizzo di Stato» è arrivato davvero.Il concordato preventivo sulle partite Iva è un taglieggiamento, l’equivalente fiscale della lettera firmata «un amico». Manca solo la richiesta di versare il dovuto in banconote di piccolo taglio, non segnate e non consecutive. Ma il senso è quello: paga ora, «sana» il passato, condona il futuro, e nessuno si farà male. Tranne il patto sociale che firmiamo alla nascita, quello di essere cittadini vagamente consapevoli, la scala sghemba attraverso cui dovremmo meritarci ’sta famosa cittadinanza – altro che vannacciate – che risulterà definitivamente lordata dai residui avicoli organici. E i polli siamo noi. Noi che le tasse le abbiamo sempre versate, o abbiamo sempre tentato di pagarle anche quando sul conto corrente il necessario non c’era. Rateizzando, versando i dovuti aggravi, mai gratis.Non è la prima volta che i Governi di Destra, nonostante la vulgata retequattrista racconti di secolari esecutivi sinistrorsi («Mussolini era socialista») ricorrono al metodo del «pochi, maledetti e subito». Di condoni tombali son piene – appunto – le fosse, insieme a ciò che resta di un minimo rispetto per i contribuenti onesti. Né si tratta di uno specifico che riguardi solo le tasse. La sicurezza del lavoro ormai funziona allo stesso modo: paghi prima, per non avere verifiche poi. Tolti, nel caso, i rilievi della polizia mortuaria.Ma stavolta lo schema è plateale, rivendicato: se sei stato così bravo da non farti beccare mai, come la larga parte della pura stirpe italica che fagocita oltre 100 miliardi di evasione all’anno, avrai messo da parte il bastante per consegnare all’esattore l’obolo richiesto. Cash. Senza penale, senza aggravi, in futuro (forse) con un set di lana merinos in omaggio. Ove tu abbia sempre versato il dovuto, come dice il promo ministeriale, ti conviene sborsare lo stesso. Perché le verifiche riguarderanno proprio te. Solo te. A quel punto basta una marca da bollo storta ed ecco che, finalmente, non ci sarà pietà.Spesso il coro dei fuori dal coro accusa i buonisti, i woke, quelli che regalano autostrade, sanità, scuole, trasporti (quando esistevano, prima del ministro social) agli “evasori della necessità un Cayenne nuovo”, di disprezzare l’impresa, le partite Iva, di vedere in ogni lavoratore autonomo, quelli veri e i forzati co.co.co, un evasore potenziale.Con questo provvedimento, Meloni (e il suo puntaspilli con la calcolatrice, Giorgetti) scolpiscono il pregiudizio. A ritenerci ineluttabilmente truffaldini è proprio lei. Sono proprio loro. Il non detto è: «Qualcosa avrai fatto, sgancia il malloppo». Come se ogni italiano avesse uno o più scheletri nell’armadio e fosse contento di consegnare un frammento di menisco al fisco predone, scopo tamponamento dei conti pubblici. Quelli devastati dall’evasione. Che al mercato mio padre comprò.Quarant’anni di Berlusconi (e di crescente tenuità del modello politico e culturale alternativo) ci hanno regalato un Paese in cui i poveri si oppongono alle tasse per i ricchi, indirizzati come sono a stappare il prosecco per qualche egiziano deportato in Albania. Viviamo in una campagna elettorale permanente. E quando, a breve, finiremo contro l’ennesimo muro, ivi trasferiti dai pifferai qualunquisti per cui le tasse devono pagarle Amazon e Google, mica il tizio che evade 1, 1000, 7000 caffè, quando i Draghi di turno torneranno a zaffare fuoco, quando la famosa sovranità popolare rischierà di essere messa in naftalina dalla troika… Ecco: io non voglio esserne corresponsabile. Per questo, a malincuore, non cederò al ricatto. Non vorrei condonarmi il poco di rispetto che ancora mi porto. Da patriota. Come tutti quelli che le pagano, le tasse. Siamo qua, luogotenente. Venga quando vuole.