la Repubblica, 16 ottobre 2024
Biografia di Andrew Wylie, detto lo Sciacallo, il più grande agente letterario del mondo
Immaginate questa scena: nel mondo di sotto si traffica in stanze affollatissime, nel mondo di sopra del Frankfurter Hof, l’hotel più chic della città, c’è una luce empirea, una calma olimpica. Andrew Wylie il più grande agente letterario al mondo, per tutti The Jackal, lo sciacallo, se ne sta seduto su un divanetto in disparte. Alcuni degli italiani che quest’anno partecipano alla Fiera del libro che ci vede Paese ospite d’onore fanno parte della sua squadra. Tra questi Alessandro Baricco, Claudio Magris e Roberto Saviano. Sarà che l’Italia è nel suo cuore fin dagli anni del college, ma inaspettatamente l’agente dagli occhi di ghiaccio accetta l’intervista. E a proposito di Saviano dice: «Gli italiani hanno perso un’occasione. Saviano è forte, coraggioso, intelligente». Sembra talmente calmo che la prima domanda viene spontanea.
Ma lei è ancora “lo Sciacallo”?
«Ma va, sono ormai un micio innocuo».
Neanche a sentir parlare di Intelligenza artificiale tira fuori gli artigli?
«Non sono preoccupato. L’Intelligenza artificiale rappresenta un progresso importante, sarà utile in campo medico. Ma credo che la scrittura vera, non possa essere catturata dall’algoritmo. Si può imitare un testo standard ma non la complessità, le metafore e lo stile che rendono interessante uno scrittore. L’Intelligenza artificiale lavora a partire da una raccolta di conoscenze esistenti, non spiazza, non sorprende».
Faccia esempi per favore.
«Danielle Steel, John Grisham, Stephen King possono essere riprodotti, non Sally Rooney. Impossibile ottenere cloni di Gomorra o dei Figli della mezzanottedi Salman Rushdie».
Proprio con Rushdie lo scorso anno qui a Francoforte avete scambiato idee sull’Intelligenza artificiale.
«È stato divertente. Mi ha raccontato di aver provato a ricreare i suoi scritti con l’IA e che era stato un fallimento risibile. Conferma la mia idea: i libri che vendono di più sono i meno interessanti e quelli che vendono di meno i più interessanti e meno imitabili».
Il premio Nobel per la Fisica Geoffrey Hinton ha detto in un’intervista a Repubblica che bisogna investire in sicurezza altrimenti saremo soggiogati dall’intelligenza artificiale.
«Credo che i pericoli di cui parla siano reali. La questione chiave è chi controlla una procedura, se l’uomo o la macchina. In guerra, ad esempio, se le strategie e gli atti di aggressione sono condotte da un’intelligenza artificiale senza il controllo umano la situazione può diventare pericolosa».
È vero che da giovane leggeva solo classici?
«Negli anni Settanta mi presentati a un colloquio per entrare nel mondo dell’editoria senza sapere nulla di classifiche. Mi fu detto che se volevo fare quel lavoro dovevo iniziare a leggere i bestseller. “Mio dio – ho pensato – se questo è vero, allora mi dedicherò alla finanza e alle banche o a qualcosa del genere, perché non ho intenzione di leggere quella roba”. Devo averli spiazzati. Alla domanda “che cosa stai leggendo” ho risposto: Tucidide (ride di gusto, ndr).Il mio obiettivo era riuscire a fare questo lavoro leggendo solo i libri che mi piacevano».
Affari e qualità possono andare d’accordo?
«Devono. Se pensi solo a fare soldi finisce che fallisci».
Non è un giudizio troppo snob quello sui bestseller?
«La maggior parte dei lettori si aspetta da un libro l’equivalente mentale di un massaggio. È no-io-si-ssi-mo (lo sillaba in italiano, ndr)».
Parla italiano?
«L’ho studiato a Harvard, al college. Da studente ho conosciuto Giuseppe Ungaretti. Venne all’università per un paio di mesi. Diciamo che ho imparato l’italiano grazie a lui, traducevo le sue lezioni. I primi giorni tra noi parlavamo francese, poi lo convinsi a passare all’italiano. È stato un grande esercizio. In italiano posso citare a memoria interi stralci di libri».
Incrocia le mani dietro la testa e inizia a declamare: «“Ho ucciso mio padre, ho mangiato carne umana, tremo di gioia” (una pausa, ndr).
Pasolini, che ricordi. Ero giovane ed ero entrato per caso in un piccolo cinema scuro, non ricordo in quale città italiana. Proiettavano Porcile. Fantastico. Potrei andare avanti con Dante, Cavalcanti...».
Oggi non si usa più imparare a memoria niente. Umberto Eco se ne rammaricava.
«È un vero peccato che non si faccia più, io continuo a farlo. Mi piace imparare pezzi di libri. Ho memorizzato ventisette pagine di Finnegans Wake e quando vado in giro per la città – qualunque città – invece di ascoltare musica, audiolibri o podcast lascio che risuoni nella mia testa Finnegans Wake. Insomma, è meglio di Beyoncé».
E siccome le sorprese con Wylie non finiscono ora prede a recitare in tedesco. Che cos’è?: «È l’attacco del Faust», dice divertito.
Non riuscirà ad apparire solo come un uomo di altri tempi, ha troppo fiuto per le nuove tendenze per essere credibile. Uno che ha frequentato da giovane la Factory di Andy Warhol sa dove va il mondo.
«Che tempi... Warhol è stato generosissimo. Non sapevo ancora che fare della mia vita, che direzione avrei preso. Cercavo di fare il giornalista. Per un anno e mezzo sono andato due o tre volte a settimana alla Factory per intervistarlo e lui mi ha lasciato fare. Frequentandolo di colpo mi resi conto che tutto quello che mi avevano insegnato a Harvard era troppo semplice. Warhol era esattamente il contrario, era come avere l’opportunità di studiare con un maestro zen in Giappone. Non volevo perdere una sillaba di quello che diceva: mi mettevo le cuffie e trascrivevo tutto, anche le pause, gli intercalari, ohh ahhh, perché erano parte di lui. Era così interessante, così gentile».
Ha intervistato altri mostri sacri?
«Salvador Dalí per la rivista Playboy. Ci incontrammo al St. Regis Hotel di New York. Tra il pubblico c’erano Halston, lo stilista, e altri personaggi di ogni tipo. E c’era un grande candelabro sul tavolo. Dissi: “Ok, Dalí, è importante che tu capisca che questa intervista è per Playboy e che tutte le domande riguarderanno il sesso e solo il sesso”. La risposta fu molto bella: “Adesso scrivi che Dalí non è interessato al sesso. Solo sesso con le pulci”. L’intera intervista è andata avanti così. Hugh Hefner poi mi ha detto che era la peggiore intervista mai realizzata nella storia della rivistaPlayboy».
È soddisfatto della sua vita, di come è andata?
«È stata una buona vita. Dedicata all’ascolto degli altri più che ad ascoltarmi».
Ultima domanda, doverosa. Ha letto Han Kang la vincitrice del Nobel?
«Mi dicono che vale, ma non l’ho ancora letta, non sono vegetariano (La vegetariana è il titolo più famoso di Han Kang, ndr). La leggerò, magari accompagnandola a un piatto di insalata».
Time out. Sulla porta, saluta così: «Ho ucciso mio padre, ho mangiato carne umana…».