la Repubblica, 16 ottobre 2024
Viaggio tra i cristiani di Rmeich
«Stiamo bene, siamo nei bunker. Di più non posso dire, ora per favore andatevene». Il soldato ghanese che ci invita con foga ad allontanarci dall’ingresso della base Unifil di Rmeich indossa un giubbotto antiproiettile e un casco blu. Dietro di lui, oltre la torre di vedetta, sorge una collina sulla cui cima è piantata una grossa croce.
Di colpo il silenzio viene rotto da una forte raffica di mitragliatore. È molto vicina. Ai piedi della collina, a poco più di un chilometro dalla base, si sta combattendo la battaglia per Ayta el Chaeb, villaggio sciita e roccaforte di Hezbollah. Dopo essere avanzata per le campagne e avere circondato il centro urbano, la fanteria israeliana sta lanciando l’assalto. Supportati dai bombardamenti dei caccia che volano a bassa quota e dall’artiglieria posizionata qualche chilometro più indietro, i suoi soldati sono impegnati in una battaglia uomo a uomo contro quelli del Partito di Dio. Qualche minuto dopo, a pochi metri dalla croce sulla collina, piovono dal cielo due razzi. Due nubi di denso fumo nero si alzano verso il cielo.
Battaglie analoghe sono in corso lungo tutta questa parte del confine tra Libano e Israele. Dopo un anno di bombardamenti reciproci tra l’Idf e Hezbollah, i soldati israeliani stanno provando a sradicare la presenza dei paramilitari sostenuti dall’Iran con incursioni sul terreno: partendo da Israele, sconfinano in Libano andando allo scontro frontale contro i miliziani sciiti che, arroccati in cunicoli e fortificazioni, tentano di respingere gli attacchi e lanciano a loro volta centinaia di missili verso lo Stato ebraico. Si combatte a Maroun al Ras, Yaroun e Ayataroun, paesini ormai deserti e sventrati dalle bombe.
A essere risparmiato dai combattimenti è solo Rmeich, villaggio cristiano trasformato in una enclave circondata dalla guerra, isolata dal resto del Paese. La base Unifil all’ingresso del paesino ospita un manipolo di caschi blu del Ghana che raramente si fanno vedere all’esterno. La tensione è alta, soprattutto dopo che tre giorni fa i tank israeliani hanno sfondato l’ingresso di un’altra base a Ramyah, 12 chilometri più a est, sempre gestita dai ghanesi.
L’unico modo per raggiungere Rmeich è aggregarsi a un convoglio che, scortato dall’esercito libanese, attraversa le zone dei combattimenti trasportando viveri e beni di prima necessità. La strada è completamente deserta e, solcando le colline, supera villaggi spettrali in cui, fino a prima dell’invasione, Hezbollah era molto radicato. Oggi sono completamente deserti, alcuni intatti, altri in larga parte demoliti: palazzi rasi al suolo, macchine bruciate, ampi crateri, carcasse delle ambulanze libanesi distrutte dai missili. Grossi cartelloni inneggianti a Hassan Nasrallah e altri leader sciiti sono appesi un po’ ovunque. Qui piovono tutti i giorni i colpi dell’esercito israeliano, da qui i miliziani di Hezbollah sparano verso lo Stato ebraico. Intorno a noi sentiamo dalle campagne le secche esplosioni dei razzi in uscita. Di colpo, girata una curva, ci imbattiamo in una enorme nube di denso fumo nero che si allarga in cielo.
Man mano che ci si avvicina al confine con Israele la strada è sempre più ricoperta di macerie. Dopo avere bucato una ruota siamo costretti ad avanzare lentamente. Al nostro fianco sentiamo sempre più nitidi e costanti i fruscii dei colpi in uscita. Quando all’orizzonte si iniziano a intravedere le colline dello Stato ebraico ai bordi della strada spariscono i simboli di Hezbollah, lasciando il posto a croci, statue della Madonna e bandiere dei partiti cristiani del Libano. Gli ultimi due villaggi prima dell’inizio di Israele sono infatti abitati da cristiani. Qui Hezbollah non entra.
Il primo è Ain Ebel ed è disabitato da quando, qualche giorno fa, i suoi abitanti sono fuggiti nella vicina Rmeich. Questo è invece un blocco di case di pietra chiara situate in una pianura circondata dalle colline: a sud quelle israeliane, a nord, est e ovest quelle libanesi dove sono in corso aspre battaglie.
Rmeich è un paese surreale: un luogo pacifico circondato dai combattimenti aerei e terrestri. Al suo interno la vita scorre apparentemente tranquilla: i bambini giocano per strada, gruppi di donne chiacchierano sedute all’aperto, giovani uomini passeggiano in gruppo, alcuni bar e negozi sono aperti, il prete celebra la messa in una chiesa piena di fedeli. Il forte ronzio di un drone israeliano che vola nel cielo accompagna però ogni istante delle loro vite. Giorno e notte. Quasi ogni minuto il silenzio è interrotto dalle raffiche, dagli spari e dalle fortissime esplosioni, alcune lontane, altre che fanno tremare vetri e pareti. Il rombo dei missili e dei caccia che volano a bassa quota è costante. Sulle colline circostanti alzano in continuazione le nubi dei colpi andati a segno.
«Ieri notte abbiamo sentito il cigolio dei carri armati israeliani che si muovevano lungo il villaggio e avanzavano verso Ayta el Chaeb», racconta Victoria, una signora di mezza età che vive al confine del paese. «Finora però non abbiamo mai visto né un soldato israeliano né uno di Hezbollah».
Questi ultimi, dicono tutti in paese, si nascondono nei cunicolisotterranei nelle campagne da dove escono per assaltare il nemico che avanza. I soldati dell’Idf, invece, non hanno finora provato a familiarizzare con la popolazione locale né a entrare nelle zone cristiane. È una guerra in cui chi la combatte sembra essere invisibile.
A raccontare le origini di questa estraniante situazione è Imad Lallous, il sindaco di Ain Ebel ora riparato a Rmeich. «Da quando gli israeliani sono entrati in Libano viviamo isolati in un’enclave. La guerra, però, qui va avanti da un anno, da quando all’indomani del 7 ottobre 2023 Hezbollah iniziò a sparare verso Israele. Da allora ogni notte i nostri uomini hanno pattugliato il villaggio per evitare che quelli di Hezbollah possano entrare in paese e riparati dalle nostre case sparino verso Israele. Cosa che provocherebbe la risposta israeliana con bombardamenti che ci polverizzerebbero. Questa non è la nostra guerra e noi cristiani non vogliamo prendervi parte. Noi siamo vittime collaterali».
Ain Ebel e Rmeich sono così state risparmiate dai missili e la vita al loro interno è continuata, a differenza dei villaggi sciiti circostanti ormai vuoti e polverizzati. Dopo l’invasione israeliana, però, Lallous ha ricevuto una telefonata dagli israeliani che gli hanno ordinato di evacuare rapidamente il paese. «Sostenevano che Hezbollah fosse molto vicino a noi e che per bombardarlo avrebbero potuto colpire le nostre case. Noi non volevamo andarcene ma era diventato troppo pericoloso». Così molti degli abitanti si sono spostati a Rmeich e vivono ora insieme ad altri 5mila civili rimasti. Fino ad oggi Ain Ebel quasi non è stata bombardata, tornare sarebbe però troppo pericoloso.
A Rmeich invece la vita continua a scorrere normale, surreale. Isolata e circondata da una cruenta guerra. Nessuno però ha mai visto un combattente.