Corriere della Sera, 16 ottobre 2024
Biografia di Giacomo Agostini
Il documentario si intitola «Ago». Racconta la favola intensa e vincente di Giacomo Agostini, narratore lucido, romantico e ironico, a anni 82, della propria leggenda: «Il montaggio finale non l’ho ancora visto. Ma sono emozionato e ansioso all’idea di ritrovare sullo schermo la mia storia, mio figlio Giacomino che interpreta me stesso da giovane, ascoltare i commenti di mia moglie Maria. Sarà una bella sorpresa».
Dall’Aquilotto Bianchi all’alba degli anni ‘50, all’MV, alla Yamaha dell’ultimo trionfo, 1975. Qual è il capitolo che più ritorna in mente?
«Ah, quell’Aquilotto, avevo 9 anni, 1951. Sveglio alle 5 del mattino nel giorno in cui sarei andato a ritirarlo in una officina a Cividade Camuno. Fremente. Saltai su e, giuro, dimenticai di tornare a casa. Rientrai verso sera e presi un sacco di sberle. Ero come impazzito dalla gioia. Una passione inspiegabile perché nessuno in famiglia aveva rapporti con i motori. Zero. Mentre io, sin da bambino, ripetevo: voglio correre in moto. Quando vinsi la prima gara ero arrivato con un meccanico che faceva il panettiere, quando si trattava di cambiare una candela domandava dove fosse ‘sta candela. Partiti con una gerla piena di pane, salame, cotolette e bustine di Idrolitina da sciogliere nell’acqua».
Suo padre non voleva autorizzarla a correre. Disse: non firmo la morte di mio figlio. Invece, sopravvissuto.
«Mi regalò una Giulietta Sprint pur di distrarmi. Era un dono persino esagerato perché in famiglia stavamo bene ma, insomma, andare in giro con quella macchina rossa, sportiva, a 18 anni, mi sembrava uno sproposito. Aveva paura e aveva ragione di temere per me. Allora i piloti morivano in continuazione. Stavo attento, ero meticoloso, ma la bravura, la cura, non c’entrano nulla con il destino».
Primo titolo mondiale nel 1966. Aveva 24 anni ed era già pronto per fare la rivoluzione. Forma fisica, allenamento, rigore. Nulla in comune con i suoi colleghi duri e impuri.
«Intanto ricordo di aver pianto per due giorni quando vinsi il mio primo Mondiale. Non mi ero reso conto di cosa fosse accaduto sino al lunedì mattina. Lacrime, sì. Con dentro felicità e una emozione fortissima. Era un traguardo tagliato ma anche il frutto di un atteggiamento preciso. Un’azienda mi consegnava una moto, spendeva dei soldi per farmi correre. Beh, dovevo ricambiare, assumere una responsabilità adeguata, comportarmi da vero professionista. Non era più un gioco, era lavoro. Dunque, allenamento, attenzione, disciplina, anche alimentare. Andare in moto significa portare la moto, letteralmente, a differenza di quanto accade con le auto che portano chi guida. Il corpo, quando stai in sella, è completamente impegnato».
Un maestro trasformato in un rivale, Mike Hailwood; un antagonista perduto, Renzo Pasolini. Che uomini erano?
«Ringrazio sempre Pasolini. Era l’eroe della Romagna dove andavamo a correre spesso. La nostra rivalità mi ha permesso di conquistare una quantità di tifosi che amavano soprattutto lui, mi ha dato popolarità e aiutato a crescere. Un grande avversario ti migliora sempre. E fuori dalle piste eravamo amici. Hailwood era il dio dei centauri. Vinsi al primo incontro. Aveva sottovalutato la faccenda, era convinto di avere a che fare con avversari tutt’altro che impegnativi, la sera prima se la spassò sino a tardi. Prese la paga. Ma una settimana dopo si prese una bella rivincita».
Dieci successi al Tourist Trophy. Una corsa bestiale con una presenza quasi celestiale. Chi era la dama del TT?
«Era una signora, abitava in un piccolo villaggio. Correndo, sfioravamo la porta di casa sua. Così lei, alle 4.45 del mattino, quando cominciavano i primi passaggi, usciva con addosso un vestito bianco, mi salutava con un inchino, alzando la gonna. Qualche giornalista seppe della cosa e scrisse che al secondo giro la mia media saliva perché avevo fretta di vedere cosa ci fosse sotto quella sottana».
Donne. Ovunque attorno a lei, per anni. Gossip, fotoromanzi, flirt. Sua moglie Maria sembra divertita quando si parla del suo passato di latin lover.
«Ma sì, ha capito tutto. Quando correvo non era ancora nata, sa di aver sposato un uomo che aveva avuto una vita intensa prima di conoscerla. Dice: sono contenta che ti sia divertito. Poi aggiunge: però adesso basta».
«Ago» è il primo film su di lei ma i suoi rapporti con il cinema sono datati.
«Ho girato tre film, qualche Carosello, parecchi fotoromanzi. La prima volta fu divertente: dovevo baciare una ragazza molto bella e molto alta e così mi piazzarono una cassetta di frutta sotto i piedi per annullare la differenza di statura. Il regista mi sgridava: dovevo dire: ti amo. Rispondevo: ma non è mica vero, è una bugia. Mi scappava da ridere in continuazione».
Agostini: il più forte di sempre. L’ha sempre pensato o qualche volta ha dubitato di se stesso?
«Ho sempre avuto paura di non esserlo. Anche quando vincevo gare e campionati sapevo che sarebbe bastato poco per cominciare a perdere. Conoscevo il valore dei miei avversari. Per batterli dovevo trovare qualcosa in più, nella guida, nella moto, nella messa a punto».
Auto da corsa per terminare la carriera. Come Valentino...
«Qualcosa in comune lo abbiamo. Una gamma di ingredienti utili a vincere e poi a continuare a vincere. Entrambi non ci siamo accontentati di riuscire una volta e poi basta».
In questo film ci sono avversari, tragedie e trionfi. Cosa manca?
«Nulla, credo. Piuttosto c’è il mio incontro con i minatori italiani in Belgio. Commossi e commoventi dopo la mia vittoria. Andavano sottoterra, risalivano e non li riconoscevi nemmeno, sporchi e stravolti dalla fatica. È un incontro che non dimentico».
E cosa manca a lei oggi, nel terzo tempo di una vita ad altissima intensità?
«Il mio terzo tempo è arrivato presto: una carriera termina quando hai circa 40 anni, non sei vecchio ma devi dire addio al tuo amore. Si tratta di considerare l’enorme fortuna che hai avuto, il fatto di essere riuscito a realizzare un sogno, mentre ad altri non capita nulla del genere. Sarebbe una vergogna lamentarsi ora».
Ha compiuto 82 anni. A sua nipotina cosa racconterà per spiegare chi è il nonno?
«Ha 8 mesi e sono felice di avere davanti un futuro da nonno. Di portarla a fare un giro in moto, raccontando qualcosa su un vecchio campione che le vuole bene».