Corriere della Sera, 16 ottobre 2024
La rabbia di Rozzano, contro i genitori del killer
«Infermo mentale? Volevi uccidere per la tua rabbia repressa, verme! Ha buttato la sim. Devi marcire in galera». La rabbia di Marika, la sorella di Manuel Mastrapasqua ucciso per rubare un paio di cuffie da 14,90 euro (oggi l’autopsia), cresce a ogni nuovo dettaglio dell’orrore di quella notte. Così come quella di tutta Rozzano. Di chi porta lumini e fiori davanti all’albero di viale Romagna dove il 31enne è stato ucciso e qualcuno ha inutilmente appeso parole di conciliazione: «La vera pace è la presenza della giustizia». Perché sui social ci si sfoga contro «il mostro» e i suoi familiari: «Sapevano e non l’hanno portato dai carabinieri ma l’hanno aiutato a scappare». Qualcuno invoca «la legge di Rozzano», mischiando minacce e la «nomea» della cittadina. Più evocata che reale. Mamma Angela, sfogando la sua disperazione, ha dato voce a un sentimento che in molti in città condividono: «Il papà doveva portarlo in caserma o “ammazzarlo di botte”, e poi portarlo in caserma, non farlo scappare».
Perché mentre Daniele Rezza, 19 anni, è ormai in carcere da quattro giorni, fuori restano i suoi genitori. Il papà Maurizio e la mamma Tamara, che sapevano «ma non mi hanno voluto credere», come ha spiegato il figlio nel suo interrogatorio. È su di loro, sigillati in casa da giorni e messi sotto vigilanza dai carabinieri per il «clima d’odio nei loro confronti», che adesso infuria la tormenta. Non quella giudiziaria, perché a parere della procura sarebbe un esercizio inutile cercare di contestare un favoreggiamento che non reggerebbe nei confronti di un familiare. Ma quello della gente. Di chi non riesce ad accettare l’inerzia del loro comportamento davanti alle ammissioni del figlio. O peggio la complicità, nel lavare i vestiti, nel gettare via le cuffie rubate a Manuel – quelle che porta al collo nell’ultimo selfie scattato prima di morire —, nel portare il figlio in stazione sapendo che sarebbe fuggito.
Oggi la famiglia del 17enne nega «di avere mai avuto la certezza» che il figlio avesse davvero compiuto il delitto. Lo fa con fermezza: «Scrivete cose false». A smentire i genitori ci sono le parole del 19enne. Ai magistrati ha detto che la mattina dopo l’omicidio era stata la madre a fargli «vedere la notizia che un ragazzo di 31 anni era deceduto a Rozzano»: «Mio padre era incredulo secondo me: come ci rimani quando pensi che un figlio di 19 anni uccide una persona? Io credevo che loro di testa non volessero accettare la cosa».
Dopo l’arresto del 19enne, i carabinieri di Rozzano e del Nucleo investigativo interrogano i genitori. La madre è quasi infastidita: cosa può riferire in merito ai fatti accaduti quella notte? «Non sono in grado di riferire nulla. Dormivo e non ho sentito niente». Il padre è invece molto più dettagliato nella sua testimonianza: «Quella sera è arrivato tardi a casa e siccome lui tante volte ne ha combinate diverse, mi ha detto “ho fatto a botte con uno”. Gli ho chiesto se mi prendesse in giro e mi ha detto di no, aveva portato a casa delle cuffie. Il giorno dopo mi ha chiesto di buttarle. Mi era venuto il dubbio che scherzasse sul fatto che aveva fatto a botte perché tante volte in passato lo aveva fatto».
Poi il figlio confessa di aver ferito un ragazzo: «Mi ha detto che forse gli aveva tirato una pugnalata, poi si è messo a ridere – ha spiegato il genitore —. Non so se era ubriaco o aveva fumato qualcosa. Gli ho detto di smetterla di scherzare e sono andato a letto. Il giorno dopo mi ha chiesto di andare a buttare le cuffie, ma io non sapevo cosa avesse fatto». Ma lei quando ha saputo che era avvenuto un omicidio? Gli chiedono i carabinieri: «Quando mi sono svegliato ho letto le cronache di Rozzano e ho iniziato a collegare. E non sapevo cosa dovevo fare. Vedevo mio figlio nervoso e gli ho chiesto se fosse stato lui, prima mi ha detto sì, poi no, e non capivo se scherzasse. E la cosa è finita lì».