Corriere della Sera, 16 ottobre 2024
La nuova vita di Ruberti, braccio destro di Gualtieri
Un grande ritorno? «Mah, a dire il vero nessun ritorno. Per tutto questo tempo ho sempre lavorato». Una grande rivincita? «Nemmeno. Nessuna rivincita. Non avevo e non ho rivincite da prendermi». Vabbe’, una nuova consapevolezza, un nuovo modo di comportarsi anche nella sfera privata? «Sinceramente non ho capito la domanda». Aveva qualcosa da farsi perdonare durante tutto questo tempo? «Niente. Semmai in quella cosa ero la parte offesa. E comunque era un litigio che non ha avuto alcuna valenza, come dire, giudiziaria…».
L’ultima volta lo si era visto in un video pubblicato dal Foglio, fuori da un ristorante di Frosinone, alle prese con Vladimiro De Angelis, fratello dell’ex europarlamentare del Pd Francesco, mentre diceva cose tipo «vi sparo, vi ammazzo, vi dovete inginocchiare». Video che gli era valso le dimissioni, chieste a gran voce anche dal Pd nazionale, da capo di gabinetto di Roberto Gualtieri al Campidoglio. Due anni dopo rieccolo, Albino Ruberti, che risorge non dalle proprie ceneri come l’araba fenice bensì da un risiko da mal di testa maturato proprio nel cuore pulsante del Comune di Roma: l’assessore al Personale va a dirigere il nuovo ufficio di scopo dedicato al Giubileo, il capo della segreteria del sindaco va a fare l’assessore al Personale e lui, Ruberti, va a ricoprire la carica di capo della segreteria del sindaco. Se non dove l’avevamo lasciato, quasi.
Amici e nemici su di lui hanno sempre concordato: «caratteraccio» ma «fuoriclasse sul lavoro» e «decisamente impeccabile nell’esercizio delle sue funzioni», non fosse stato così «non l’avrebbero richiamato». Certo, sull’avverbio e anche sull’aggettivo qualcuno potrebbe aver da ridire, soprattutto per la volta che si beccò una multa per aver violato il lockdown con un pranzo fuori casa (all’epoca lavorava con Nicola Zingaretti alla Regione), motivato ai vigili come impellente esigenza lavorativa e contorniato dal sospetto di aver reagito all’insegna di quel «lei non sa chi sono io» che lui ha sempre smentito. Più difficile da smentire la volta che i suoi figli, fermati e multati perché circolavano senza la mascherina obbligatoria, reagirono di fronte ai carabinieri rimarcando che «voi non sapete chi è nostro padre».
Comunque sia, rieccolo qua. Ancora lui. «Sinceramente non avrei delle cose da dire», «ricopro un ruolo che non prevede la comunicazione personale delle cose che si fanno», «non mi risulta che i miei predecessori venissero chiamati per rilasciare interviste», replica Ruberti. Toni e modi improntati al massimo della cortesia. Con qualche passaggio che richiama il vecchio standard degli atleti che vanno a medaglia o che ritornano in squadra dopo tanto tempo: «Ringrazio il sindaco per l’opportunità, adesso però avrei da fare». Niente grande ritorno, nessuna rivincita, nessuna scusa da fare, niente da farsi perdonare. Neanche un pizzico di rivalsa rispetto alle persone con cui litigò fuori dal locale di Frosinone né con quelle che registrarono il video e lo mandarono ai giornalisti. «Rispetto il lavoro di tutti e non ho nulla da dire», sorride.
Dell’uomo che reagì al «me te compro» proferitogli da uno dei fratelli De Angelis per motivi mai chiariti del tutto (si parlò anche di una lite per questione di tifo calcistico) con quella sequela interminabile di «inginocchiati», «mi deve chiedere scusa in ginocchio», «vi sparo», «vi ammazzo», al momento, non v’è traccia. Lo chiamavano Rocky, come il pugile di Stallone, ma da allora anche «Zappatore», come il personaggio di Mario Merola che raggiungeva il figlio a New York e per dirgli davanti a tutti «addenocchiate e vaseme ‘sti mmane» (inginocchiati e baciami queste mani). Ruberti intanto è tornato. Ringrazia il sindaco, guarda e passa. Per ora