Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  ottobre 16 Mercoledì calendario

Ultime sul caso del bancario spione

Prima s’è rivolto a un dottore che gli ha prescritto una medicina, «una leggera terapia farmacologica che mi aiutasse a stare più tranquillo e facesse da freno a questa mia «compulsività» nell’effettuare nell’arco della giornata lavorativa, seppure per pochi secondi, queste attività di inquiry (ricerche di dati, ndr ) non sempre legate all’attività lavorativa specifica». Poi s’è rivolto a uno psicologo: «Non nego che è stato molto difficile tenere a freno questa mia curiosità/compulsività». Il secondo medico gli ha consigliato una pausa dal lavoro, aspettativa non pagata di due mesi, che gli consentisse di «completare un percorso psicologico utile a conoscere il mio modo di essere affinché ciò che è successo non accada mai più, magari anche con un cambio di mansione».
La memoria difensiva nel procedimento disciplinare dell’ormai ex impiegato Vincenzo Coviello, inviata a Intesa-Sanpaolo lo scorso 30 luglio, assomiglia a un crollo ma costituisce un estremo tentativo di conservare il posto; la confessione di un dipendente colto con le mani nel sacco, che si dipinge malato, vittima di una dipendenza da accessi abusivi che gli consentivano di intrufolarsi nei conti correnti di migliaia di clienti. Non c’è riuscito. L’8 agosto la banca lo ha licenziato e a settembre è partita l’inchiesta penale con l’accusa di «procacciamento di notizie concernenti la sicurezza dello Stato», per via del calibro istituzionale di alcuni correntisti spiati: dal presidente del Senato in giù. 
«Possiamo escludere che sia stata compiuta una attività di dossieraggio, di qualsiasi dimensione e natura, o che vi sia stata cessione di dati a terzi», assicurano adesso i suoi avvocati difensori, Luigi Miani, Federico Straziota, Antonio Arzano e Domenico Lenato. Un pool di penalisti e lavoristi che, prima ancora che il loro assistito compaia davanti al procuratore di Bari Roberto Rossi e all’aggiunto Giuseppe Maralfa, cercano di salvare il salvabile provando a evitare ulteriori conseguenze almeno sul piano mediatico. «Nel corso delle perquisizioni eseguite presso l’abitazione e altri locali in uso all’indagato – comunicano —, non è stata rinvenuta documentazione attinente ai fatti per cui si procede», cioè il reato più grave contestato dai pm. I quali aspettano di conoscere l’analisi dei dispositivi elettronici sequestrati, primo passo per verificare la veridicità della strenua difesa di Coviello, sostenuta con la banca e ora anche con la magistratura. 
«Per quanto riguarda gli inquiry relativi a personaggi pubblici – ha scritto nella memoria – posso affermare con certezza di avere agito solo per motivi di curiosità, e non avere trasferito a nessuno le informazioni da me visionate; delle quali, peraltro, considerato anche il notevole lasso di tempo trascorso, posso affermare con assoluta certezza di non avere alcun ricordo». Anche le ricerche sulle disponibilità e le operazioni economiche di molti colleghi, sarebbero avvenute per «mera curiosità», mai condivisa con nessuno. In ogni caso, ribadisce, quello che ha visto è tutto già dimenticato. 
«Sono pentito di quello che è successo», afferma l’ex dipendente a conclusione della sua memoria. Rivendicando un curriculum con molti giudizi positivi e la «sensazione» di essere stato penalizzato, nell’ultimo periodo, rispetto alla professionalità accumulata. Arrivando comunque a cospargersi il capo di cenere: «Chiedo scusa alla banca, ai colleghi tutti, ai clienti, consapevole di avere sbagliato ma allo stesso tempo certo che quei dati da me visionati, non solo non sono stati trasferiti a terzi, ma ovviamente non sono nella maniera più assoluta nella mia memoria». 
A parte le ammissioni e le richieste di perdono, però, Coviello cerca di ridimensionare pure le accuse della banca, sostenendo che il suo «portafoglio clienti» era più vasto di quello descritto dall’istituto. Il che renderebbe, a suo dire, non illeciti molti degli accessi contestati. E per provare ad allontanare ogni sospetto di spionaggio o dossieraggio, invoca presunti favori a persone non abituate ai nuovi sistemi: «È capitato spesso che parenti, conoscenti, vicini di casa poco avvezzi all’uso della tecnologia mi abbiano spesso chiesto la cortesia si verificare informazioni relative al loro conto corrente, e che per non risultare scortese mi sia prestato a dare corso alle loro richieste»