La Lettura, 13 ottobre 2024
Due mostre dedicate a Ungaretti
In dodici sono andati sul Carso. L’hanno visto come è adesso, boschi verdissimi attraversati dall’Isonzo, non la pietraia «dalle spalmature bavose di fango d’un colore di sangue già spento» resa infida «a chi tra l’incrocio fitto delle pallottole l’attraversava smarrito nella notte», come la visse il giovane Giuseppe Ungaretti, volontario al fronte sul finire del 1915. Dodici pittori hanno ritrovato i luoghi del «poeta e soldato» che all’atrocità del conflitto rispose con versi di fratellanza. Ne hanno fatto arte. Le loro opere, nate da quel viaggio, saranno esposte in una mostra che ne comprende due (una a Gorizia, una a Monfalcone); che è un omaggio a Giuseppe Ungaretti, alla sua storia, alla sua arte, al suo territorio, alla sua etica; che è un maxievento culturale perché fa da battistrada al programma di Nova Gorica-Gorizia Capitale europea della Cultura 2025. E che, in linea con il messaggio della manifestazione transfrontaliera, parla di confini e riconciliazione.
Apriranno sabato 26 ottobre (fino al 4 maggio 2025) le due mostre-sorelle, ideate e curate da Marco Goldin. A Gorizia (Museo di Santa Chiara) c’è Ungaretti poeta e soldato. Il Carso e l’anima del mondo. Poesia pittura storia; a Monfalcone (Galleria comunale d’Arte contemporanea) c’è Da Boccioni a Martini. Arte nelle Venezie al tempo di Ungaretti sul Carso. Operazione mastodontica per due città separate da circa venti chilometri, spettatrici e protagoniste di un Novecento intriso di sangue, martoriato da ferite difficili da ricucire: «Il progetto — spiega Goldin — nasce dalla potenza dei versi di Ungaretti, dunque dalla poesia, per poi allargarsi all’ambito storico, letterario, artistico. E al suo rifiuto della guerra». E allora eccolo Giuseppe Ungaretti, nato ad Alessandria d’Egitto l’8 febbraio 1888 — e non è un caso che l’8 febbraio comincino le celebrazioni di Nova Gorica-Gorizia 2025 —, convinto interventista al quale basta qualche settimana in trincea per capire, «nella condizione di fratello tra i fratelli», quanto la guerra sia un’atroce illusione.
Perno di questa esposizione multidisciplinare è la raccolta Il porto sepolto, pubblicata in ottanta copie a Udine nel 1916, concepita da Ungaretti tra la prima linea e le retrovie e curata dal tenente Ettore Serra, poeta pure lui (la copia vidimata dalla Procura del Re, cioè la censura, in arrivo dalla Biblioteca Vincenzo Joppi di Udine, sarà esposta a Gorizia, mentre la copia numero uno, sempre prestata da Udine, sarà protagonista a Monfalcone). Le liriche le conosciamo nella loro straziante sincerità: Veglia,
Fratelli, San Martino del Carso. «Nella mia poesia — dirà poi Ungaretti — non c’è traccia d’odio per il nemico, né per nessuno: c’è la presa di coscienza della condizione umana, della fraternità degli uomini nella sofferenza, dell’estrema precarietà della loro condizione. C’è volontà d’espressione, necessità d’espressione, c’è esaltazione, nel Porto Sepolto quell’esaltazione quasi selvaggia dello slancio vitale, dell’appetito di vivere, che è moltiplicato dalla prossimità e dalla quotidiana frequentazione della morte. Viviamo nella contraddizione». Da questo manifesto pacifista, che racchiude il senso della poetica ungarettiana, la mostra di Gorizia, imponente ed estesa su quattro livelli, può partire.
«Hanno camminato, hanno vissuto, hanno guardato. Qualcuno è anche ritornato, una volta e poi un’altra ancora». Dodici pittori da tutta Italia (Franco Dugo è nato in Slovenia ma ha sempre vissuto a Gorizia; Laura Barbarini è nata a San Paolo, in Brasile, ma risiede a Roma da quando aveva due anni) si sono confrontati con Ungaretti e il territorio isontino. Con le parole del poeta e le strade da lui percorse. Hanno poi dipinto per quasi un anno (dalla fine del 2023 all’estate appe
na conclusa), e il risultato sono le novanta opere che popolano gli spazi del museo goriziano. Il percorso espositivo comincia dall’alto, dal terzo piano, dove nella sala video un documentario di mezz’ora, realizzato apposta per la mostra, racconta la storia di Ungaretti sul Carso (le musiche sono di Remo Anzovino, le interviste al poeta sono state recuperate dalle Teche Rai, le immagini di oggi sono state girate con i droni sul Carso nei mesi scorsi).
I nomi degli artisti coinvolti da Goldin: Laura Barbarini, Graziella Da Gioz, Franco Dugo, Giovanni Frangi, Andrea Martinelli, Matteo Massagrande, Francesco Michielin, Cesare Mirabella, Alessandro Papetti, Franco Polizzi, Francesco Stefanini, Alessandro Verdi. Tecniche, età, visioni, esperienze, carriere diverse. Stessa ispirazione: il Monte San Michele, l’Isonzo, Ungaretti. Emozioni su tela. Le pietre levigate dal fiume negli oli di Frangi; le stagioni del poeta ossessivamente ritratto da Martinelli; i cieli di Papetti prima della battaglia; i brandelli di muro di Massagrande; la natura spirituale di Michielin; il silenzio dipinto di Mirabella.
Pittura, letteratura, storia, morfologia. La mostra goriziana è il racconto quanto più possibile completo della storia di Ungaretti sul Carso (vi rimase dal dicembre del 1915 alla fine, o quasi, del 1917, prima di andare in Francia), le battaglie combattute, i momenti di riposo, i congedi. La ricostruzione storica è stata affidata a Lucio Fabi con Nicola Labanca, i poeti Paolo Ruffilli e Maurizio Cucchi si occupano dell’analisi del Porto sepolto. Al secondo piano uno schermo proietta un dialogo tra Goldin e Ruffilli sul Porto sepolto. Intorno, sulle pareti, la biografia illustrata di Ungaretti.
Il viaggio continua attraverso la pittura dei dodici artisti coinvolti in questa avventura; i loro quadri sono alle pareti, mentre al centro delle sale sono esposti gli oggetti «per tenere insieme lo spirito della poesia con la drammatica fisicità della guerra»: centraline telefoniche da trincea, maschere antigas, effetti personali dei soldati, fotografie. È stato ricostruito anche un piccolo campo di battaglia con mitragliatrice, elmetti, sacchi di sabbia. Al primo piano, su un altro grande schermo si vedono gli approfondimenti di natura storica e militare, mentre le battaglie sul Carso sono analizzate anche attraverso mappe e carte militari, alternate ad altri strumenti bellici, ad altre uniformi.
Poeta e soldato, come il titolo della mostra. «Soldato ma poeta», come si definisce Ungaretti in una lettera a Giovanni Papini, al tempo delle battaglie attorno al Monte San Michele. «La sostituzione della congiunzione avversativa con una aggiuntiva — fa notare Goldin — è stata fatta per avere noi oggi addosso come un mantello quel doppio ruolo ungarettiano tra le trincee della prima linea e la retrovia. Quel suo combattere e al tempo stesso scrivere, quel suo avanzare e ugualmente retrocedere. Quel suo essere insieme nella vita e nella morte. Condizione di fragilità e forza, condizione umana che sprigiona fuochi accesi nel buio della notte. Condizione di semplicità assoluta».
«Un’intera nottata/ buttato vicino/ a un compagno/ massacrato/ con la sua bocca/ digrignata/ volta al plenilunio... (da Veglia, contenuta nel Porto sepolto). Alle giornate insanguinate trascorse al fronte, Ungaretti reagisce con l’ispirazione poetica. E mentre quel giovane sperimenta il mattatoio carsico, e scrive, crea, sovverte il modo di fare poesia, non lontano dalle bombe, nelle Venezie (Tridentina, Euganea, Giulia, e quindi nella macrozona che oggi comprende TrentinoAlto Adige, Friuli-Venezia Giulia, Veneto), cresce e si rinnova il fermento artistico. Epicentro di questa avanguardia italiana è Ca’ Pesaro, palazzo veneziano alle cui mostre partecipano autori del territorio, come il triestino Guido Marussig, che di Ca’ Pesaro è un’istituzione, ma anche «guest star» come Umberto Boccioni e Felice Casorati.
Di questo fervore creativo parla la mostra di Monfalcone, con cinquanta opere esposte. Il punto di partenza è la figura di Umberto Boccioni, che nella mostra estiva del 1910 a Ca’ Pesaro è presente con una personale di quarantadue lavori. Altro personaggio di rilievo, assiduo frequentatore della zona, è il piemontese Felice Casorati, che a Ca’ Pesaro nel 1913 presenta quarantuno dipinti. E poi gli altri artisti che in quel decennio rendono la pittura nelle Venezie tra le più avanzate d’Italia: Gino Rossi con i suoi quadri e Arturo Martini con le sue sculture; Umberto Moggioli e Pio Semeghini, Aldo Voltolin e Nino Springolo. «Quello che ne risulta — avverte Goldin — è un panorama alto dell’arte nelle Venezie al tempo di Ungaretti sul Carso, a dire come anche nel momento delle battaglie e delle tragedie, la forza dell’arte continuasse a vivere nei territori circostanti».
Paesaggi, le colline asolane, Burano, le isole e la Laguna veneziana, i canali, le vedute della campagna. Quindi i ritratti — strepitosi — con una selezione di opere che vanno da Boccioni a Casorati, da Piero Marussig a Vittorio Bolaffio, da Edgardo Sambo Cappelletti fino a Gino Parin. Alla mostra si aggiunge anche una selezione di quattordici dipinti degli autori contemporanei che si vedono a Gorizia nel Museo di Santa Chiara, «per dare così, anche dal punto di vista pittorico, il forte senso di una continuità tra le due sedi».
Nel maggio 1966, in occasione degli Incontri Culturali Mitteleuropei, Giuseppe Ungaretti torna a Gorizia, mezzo secolo dopo la pubblicazione del Porto sepolto, ospite del convegno internazionale La poesia, oggi. «Il Carso — dice — non è più un inferno, è il verde della speranza», ma durante il conflitto «era un luogo nudato, un luogo di spavento, ma non ne era spaventata la nostra anima, era sola, offesa che il nostro corpo fosse, in mezzo a tanta impazienza della morte, tanto, e solo, presente alla propria fragilità». In quello storico appuntamento, primissimo tentativo di ricucire le ferite dei confini, il poeta commuove e si commuove: «È incredibile, oggi il Carso appare quasi ridente». Altri cinquantotto anni dopo, Goldin sottolinea: «L’eredità di Ungaretti è molteplice. Poetica, perché Il porto sepolto rappresenta la rottura rispetto al mainstream dannunziano e apre alla modernità novecentesca. Civile perché da interventista l’autore si ricrede subito e diventa pacifista convinto. Umana, perché all’interno della grande storia Ungaretti ha sempre guardato alla piccola storia delle persone».
E non c’è rischio, insiste il curatore, che la doppia mostra di Gorizia e Monfalcone possa sembrare un’apologia romantico-nostalgica della guerra, proprio mentre Ucraina e Medio Oriente sono in fiamme. «Il progetto — dice — è tutto tranne l’esaltazione della guerra. Toglie ogni dubbio il documentario iniziale: Ungaretti, anziano, si scaglia contro ogni conflitto, si infervora, alza la voce. E noi ci uniamo con forza alla sua».