Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  ottobre 15 Martedì calendario

Il carteggio inedito di Jean Cocteau col giovane collega e amante Jean Desbordes

Anticipiamo stralci di “Ti amerò fino alla morte” (1925-1938), il carteggio inedito di Jean Cocteau col giovane collega e amante Jean Desbordes, in libreria da domani con Clichy.
Mio piccolo Jean, penso a lei continuamente e la sua figura illumina ancora la mia stanza. Sono contento di averle fatto del bene. Questo legame non deve affievolirsi. Sappia che il mio più caro desiderio è di farle prendere il volo, di farle un miracolo, di riscaldarla. Siamo sulla stessa lunghezza d’onda, lei mi dà più di quanto io non faccia. Queste boccate di freschezza mi aiutano a vivere, mi evitano di svegliarmi con la luna storta. Pensi che la cullo e che il mio silenzio le parla. (Un cuore al posto della firma). Complimenti piccolo Jean – sì, soffio nelle tue vele, sono io a gonfiarle.
26 novembre 1925
Mio piccolo Jean, c’è della genialità nel tuo caso. Ma ti supplico di non perdere la testa. Dovrei sgridarti, ma è impossibile. La mia franchezza sistematica mi costringe a dirti tutto. Il tuo fuoco infuoca i fogli – bruciano – si legge male – il fumo acceca. Puoi immaginare che preferisco mille volte questi eccessi alla mancanza di respiro. Confesso che non oso giudicarti. Al di là del giudicabile: del cattivo gusto, del disordine, dell’insipido – c’è una forza, una grazia che non si possono giudicare: la grazia. Attenua il tuo fuoco. Calmati. Tu possiedi quello che nessuno oggi possiede: la vivezza della profondità… Amami con calma, come ti amo io.
Dicembre 1926
Mio Jean, ho male, mi fai male. Sento che qualcosa mi soffoca. Non oso credere a un tale miracolo. Se mi amassi, se solo fosse possibile! Il tuo genio, la tua piccola figura mi tormentano, mi riempiono fino all’orlo, fino alla morte.
14 gennaio 1927
Jean, ascolta queste parole solenni: Dio mi ha assegnato un compito: la tua opera. Chi potrebbe/oserebbe toccare la tua neve con le mani sporche? L’amore rende le mani sovrannaturali. Avrò mani soprannaturali per aiutarti, dirigerti, renderti gloria, addormentarti. Ti amo fino alla morte.
15 gennaio 1927
Bambino mio caro, fa di nuovo un freddo spaventoso e allo stato attuale sono ricaduto in sonni profondi e brutti sogni. È tempo che tu ritorni e che il tuo sorriso mi rimetta in sesto e mi guarisca da tutti i malesseri e da tutti gli incubi… Ho deciso all’improvviso di provare un film di cinque minuti martedì. È un salto nel vuoto. Se fallisco, pazienza, conserverò la pellicola in una scatola e mi servirà per ricordare di non perdere tempo con cose che non sono nelle mie corde… È difficile perché i francesi odiano l’immaginazione. L’invenzione, la poesia e persino un’innovazione determinata dal sogno o dalla sofferenza li riempiono di indignazione. Non vedo l’ora che faccia bel tempo, che tu ritorni, che possiamo vivere un sogno di tenerezza e felicità.
26 marzo 1927
Non pensare mai che io sia disattento. Malato, triste, assillato da un lavoro che rifiuto e che mi vincola ecc, tutto, tranne che disattento e dal cuore distratto. Ogni tanto butto l’occhio nella tua camera. Mi sembra di vederti di spalle, che lavori, e cammino in punta di piedi. Perfeziona i tuoi strumenti. Domina le crisi. Trasforma la tua massa di emozioni in un profluvio di parole – non innervosirti nell’attesa. Quando si pubblica troppo giovani poi ci si mangia le mani.
1927
Caro piccolo Jean, è difficile parlarti. Sei così teso, così esaltato, così al limite che bisognerebbe dirti o è sublime oppure è un disastro. Però succede che la tua bellezza – per quanto io la senta – mi sfugge perché ti muovi al di fuori delle proporzioni e giochi senza stare nei limiti del gioco. È urlato più che scritto. Un urlato scritto. Non ti propongo delle piccolezze, non ti consiglio di ridurre, ma ti faccio notare questa difficoltà profonda che è l’arte stessa e che consiste nel dare un contorno a ciò che non ne possiede – un volume, una massa, la forma di un oggetto all’illimitato. Vivere, scrivere, sono due cose diverse. Non potendo vivere, vivi scrivendo. È vita, è una vita finta che tu consumi invece di scrivere e di vivere. Vorrei per te vita e silenzio. Silenzio e calma. Se fossi lì, ti prenderei la mano, ti metterei a letto, ti farei addormentare, ti obbligherei a non confondere il sangue con l’inchiostro. Dopo questi dolci rimproveri, è inutile ripeterti di quali meraviglie brulica la tua opera, meraviglie che chiedono solo di vivere, cioè di esprimere la vita invece di essere la vita.
1927
Piccolo mio Jeanjean adorato, non ti fidare di Gide che legge e sente sempre quello che “vuole leggere e sentire”. Era già convinto, stando alla lettera, che un ragazzo di cui sei innamorato (sic) ti ha salvato dalla morte a casa mia (ri-sic), che ti obbligavo a fumare e che ti sei disintossicato grazie a lui (a questo ragazzo). In un attimo ho avuto la prova di quanto il resto fosse sbagliato. Ma li conosci i letteratucoli, credono che tu mi accusi perché trovi che sia sbagliato (hanno sempre sentito parlare di te come del buon Dio) e quindi questo li metterebbe contro di te. So che mi ami ed è l’unica cosa che conta.
15 maggio 1933