il Fatto Quotidiano, 15 ottobre 2024
Matera, Molisannio e Cortina: a ciascuno la sua “secessione”
Piccole secessioni crescono. “La nostra è questione di cromosomi – dice Clemente Mastella, orgoglioso sindaco di Benevento che guarda al Molise – Noi siamo sanniti, i napoletani sono bizantini”. Altrove invece è quasi una rivalsa politica. Come a Matera, dove due ex senatori si sono messi in testa di presentare un referendum per traslocare la città dalla Basilicata alla Puglia: “Siamo stanchi di subire lo strapotere di Potenza”.
E allora piccole grandi proletarie si muovono. Per imitazione o magari per reazione all’autonomia differenziata leghista, in Italia si moltiplicano le cartine alternative. Decine di uffici comunali si affannano a ridisegnare i confini e ovunque fioriscono associazioni e comitati che chiedono la separazione, l’annessione, il cambio di coinquilino. L’ultimo caso, come detto, è quello di Matera: qui Tito Di Maggio e Corrado Danzi, ex parlamentari di centrodestra, hanno presentato in Comune un quesito referendario di poche righe: “Volete che il territorio del Comune di Matera sia separato dalla Regione Basilicata per entrare a far parte della Regione Puglia?”. Nei prossimi giorni il Comune si esprimerà sull’ammissibilità, poi si vedrà. A sentire i due promotori, Potenza si pappa potere, nomine, soldi, progetti; mentre la povera Matera resta isolata e senza rappresentanza. E dunque meglio persino rinunciare allo status di Provincia – giacché in Puglia bisognerebbe stare sotto Bari – pur di rompere le catene del perfido dominio potentino.
Si salvi chi può. In Molise a chiedere il divorzio è invece la provincia di Isernia, o per lo meno alcuni suoi illustri abitanti che hanno fondato un comitato (lo presiede l’ex questore Gian Carlo Pozzo) con l’obiettivo di spostare armi e bagagli in Abruzzo: “I cugini abruzzesi sono ancorati ai parametri dell’Italia centrale – lamenta Pozzo – mentre i nostri scivolano sempre più in basso agli ultimi posti di quelle meridionali”.
Per Isernia però c’è chi ha progetti alternativi. Trattasi di Mastella, gran sostenitore del Molisannio: una macro-Regione (si fa per dire) che unisca Benevento, Isernia e Campobasso. L’ex ministro delinea i dettagli con voce ferma: “Soprattutto al Sud, i confini sono stati mal definiti, hanno snaturato tutto”. Insomma Benevento con la Campania c’entra poco e niente: “Io ho studiato a Napoli e amo Napoli, ma la mia gente nelle aree interne ha cromosomi sanniti, non bizantini come i napoletani”.
Ma non è che Mastella, vecchio lupo di mare della politica, sotto sotto vuole fregare il Molise? “Ma no, gliel’ho detto tante volte ai molisani: lasciamo Campobasso capoluogo. E allora mi dicono: ‘Tu ci vuoi fottere i parlamentari’. Ma non è vero manco questo, ci guadagniamo tutti, non porto via niente”.
Ma mica è soltanto il Sud Italia a voler metter mano all’atlante. Seguendo il mito di chi ce l’ha fatta (per dire: nel 2009 la ridente Casteldelci e altri sei Comuni di confine sono passati dalle Marche all’Emilia-Romagna), libertà va cercando pure la nordica Belluno, con addosso da tempo la sensazione di essere stata abbandonata a sé stessa lassù nel profondo Veneto, lontano dal centro di potere della Regione.
Per questo nel 2011 la Provincia ha avviato un poco convinto iter per annettersi al Trentino Alto Adige (tentativo finito nel vuoto) e nel 2017 i cittadini hanno persino votato a un referendum per rendere Belluno provincia autonomia. Domanda piuttosto pleonastica, come facilmente si poteva prevedere. Al punto che l’avvincente competizione elettorale si è risolta con un 99 per cento di sì, ma l’1 per cento dei no – giurano in città – era agguerritissimo.
Fatto sta che Belluno è ancora al suo posto e col tempo la cosa è finita un po’ nell’oblio, al pari di altre nobili iniziative di trasloco tipo quella intrapresa da Cortina d’Ampezzo, sempre dal Veneto al Trentino Alto Adige.
Certo, alle volte la toponomastica non aiuta. Ai tempi della prima elezione a governatore in Liguria, Giovanni Toti incappò in una disperata gaffe geografica localizzando in diretta tv Novi Ligure nella sua Regione, quando invece è piuttosto noto (almeno ai liguri!) che la città sia in Piemonte, in provincia di Alessandria. Dopo ore di prese in giro, Toti ne uscì col contrattacco: “Chiederemo al sindaco di aggregarsi alla Liguria o di cambiare nome alla città”. Devono avergli detto di no. Ma sono passati dieci anni: forse si potrebbe pensare a un referendum.