La Stampa, 15 ottobre 2024
Francis Ford Coppola: “La democrazia in Usa è a grandissimo rischio”
Sull’orlo della fine, come nella prima memorabile scena in cui il protagonista Adam Driver è pronto a lanciarsi nel vuoto dalla sua casa in bilico sulla vetta del Chrysler, Francis Ford Coppola mette in scena, in Megalopolis, una favola epica sull’Antica Roma ambientata nella New York contemporanea e piena di assonanze con la congiura di Catilina. Un’opera visionaria che, come spiega l’autore, ripete lo schema di Apocalypse Now «in cui il racconto Cuore di tenebra di Joseph Conrad era stato collocato nella guerra in Vietnam». Al traguardo degli 85 anni, Coppola, protagonista nella capitale di una serie di eventi legati alla pre-apertura della Festa del cinema di Roma e di Alice nella città, arriva con un film che parla della crisi dell’Occidente, del disastro ecologico, delle derive violente di una società minata dalla sete di potere: «C’è una tendenza in questo momento nel mondo ad abbracciare ideologie di neo-destra, perfino fasciste, e questo è spaventoso, chi ha vissuto durante la seconda guerra mondiale e ha visto quegli orrori, non può certo volere che si ripetano».
Cosa hanno in comune l’Antica Roma e l’America di oggi?
«L’America sta collassando, rischiamo di perdere la Repubblica, proprio come è accaduto millenni fa a Roma. Quando ho raccontato l’idea di Megalopolis, mi è stato chiesto che cosa c’entrassero, nella trama, gli Stati Uniti di oggi, ma tutti sanno che l’America è una nazione nata sul modello della Roma repubblicana, infatti i nostri fondatori non volevano un Re, ma, appunto, una Repubblica. E poi basta andare in giro per New York per rendersi conto che è piena di edifici che si ispirano all’architettura della Roma classica».
Che cosa la preoccupa di più del Paese in cui è cresciuto?
«La democrazia oggi, in Usa, sta vivendo un grandissimo rischio. Ma non sono interessato solo al mio Paese, penso che siamo tutti uniti dallo stesso destino di esseri umani, di homo sapiens, un’unica famiglia, senza confini, capace di grande genialità, l’obiettivo fondamentale è riuscire a salvarla, insieme al pianeta in cui viviamo. Pico della Mirandola disse che l’umanità doveva essere ammirata, perché è in grado di risolvere qualsiasi tipo di problema. Questo vale soprattutto per l’Italia che è un po’ la metafora di tutto. Vanta un sacco di primati, in campi diversi, la scienza, l’arte, la medicina, la musica, ma non capisco come sia possibile che, in un quadro del genere, non riesca ad avere un governo che funzioni. Come può essere che ci sia tanta intelligenza e che, nello stesso Paese in cui sono nati Enrico Fermi e Giuseppe Verdi, non si riesca ad avere politici all’altezza?».
Come vede il futuro del cinema?
«Il cinema è fatto di arte e di business, quelli che sono interessati solo al secondo aspetto vorrebbero farlo usando una formula fissa, predefinita, come quella della Coca Cola, una formula che crea dipendenza, un modo per azzerare del tutto il rischio. Io invece credo che il cinema sia un’arte e che a poco a poco acquisterà un ruolo diverso».
Che cosa consiglierebbe a chi vuole fare cinema?
«Per Megalopolis ho usato tanti giovani apprendisti, provenienti da diversi Paesi, italiani, cinesi, svedesi, erano 30 hanno lavorato in un modo fantastico, ascoltavo le loro idee e davo loro gli strumenti provenienti dalla mia esperienza. Quelli come loro costruiranno l’avvenire del cinema. Ma non per questo voglio essere chiamato maestro, non mi considero tale, solo una persona che ha avuto la fortuna di fare ciò che sognava».
Da oggi a Cinecittà c’è una strada che porta il suo nome. Che cosa le viene in mente se pensa al cinema italiano?
«Ho tantissime memorie, mi è tornato in mente il giorno in cui Nino Rota, mentre eravamo in aeroporto e discutevamo delle musiche per Il padrino, ha intonato per la prima volta il tema musicale che poi l’ha accompagnato. Mi commuove ripensare ai giganti del vostro cinema, Francesco Rosi, Lina Wertmüller, Mario Monicelli, Michelangelo Antonioni. Gli attori italiani sono fantastici, a differenza di quelli americani, sempre desiderosi che si soffra insieme a loro».
Che rapporto ha con il tempo?
«Ho provato a fermarlo, una volta in cui ero molto felice, e in un certo senso, ci sono riuscito. Gli artisti lo fanno spesso, possono controllare il tempo».
Di che cosa è più orgoglioso?
«Della mia famiglia. Ho una figlia come Sofia, che è diventata una grande regista, e poi Roman anche lui regista e attore, e ancora mio nipote, Nicolas Cage, e un’altra, Gia, che ha vinto al festival di San Sebastian. Che cosa potrei chiedere di più? Non c’è niente di più bello del vedere che i propri discendenti hanno fatto cose stupende. Nella nostra famiglia c’è sempre stata l’abitudine di dedicare le vacanze estive al gioco e alla recitazione, ci raccontavamo storie e poi imparavano testi da mettere in scena. Il gioco è importante, dovremmo tutti giocare di più e lasciare il lavoro ai robot».
E cosa l’ha resa più infelice?
«Ho perso un figlio, ovviamente non c’è dolore più grande. Nel lavoro ho due rimpianti, il primo è quello di non aver girato Un sogno lungo un giorno nel modo in cui avevo immaginato, il secondo è che non stiamo lasciando il cinema alle nuove generazioni così come avremmo dovuto».
Ha lavorato per anni al progetto di Megalopolis (da domani in sala), lo ha prodotto vendendo una parte della sua azienda vinicola, e ora annuncia altri due film. Da dove nasce la sua energia?
«Dall’entusiasmo. Credo che le cose che scopriamo ogni giorno siano meravigliose. Lei ha figli? Nipoti? Le piacciono? Allora di sicuro loro meritano di vivere in un mondo migliore».