La Stampa, 15 ottobre 2024
“Se Israele si ferma scompare".
Michel Houellebecq, 68 anni, arriva all’anteprima del Festival Radici dopo un riposino nel suo albergo a due passi dal Circolo dei lettori di Torino. Sudato, spettinato, sigaretta elettronica alla mano, camicia jeans sgualcita, giaccone di pelle sdrucito, incarna la fatica forse dell’Occidente e sicuramente del grande scrittore braccato dai media e dalla vita. Meditando ogni parola, in una sala piena come una piccionaia e dal protocollo rigido come per un capo di Stato, affronta ogni questione con la spudoratezza che lo ha reso celebre.
«Dal 7 ottobre non ho mai smesso di sostenere Israele – chiarisce -, anche se mi rendo conto che la situazione è molto dolorosa per tutti. Non capisco però l’antisemitismo contemporaneo: mi sembra il socialismo degli imbecilli. Ci sono movimenti di estrema sinistra che prendono posizioni nette come non mai. I miei compagni di liceo trotzkisti non avrebbero appoggiato Hamas, dunque siamo peggiorati. Ciò che mi è chiaro è che se Israele smettesse di combattere scomparirebbe».
L’occasione dell’incontro è un dialogo con la brillante scrittrice Ottavia Casagrande attorno al libro Qualche mese della mia vita (La nave di Teseo). L’iniziativa è l’anteprima della rassegna culturale che ci sarà dal 24 al 27 ottobre, a cura dello scrittore Giuseppe Culicchia e voluta dall’assessore Maurizio Marrone di Fratelli d’Italia. Non manca dunque un riferimento al tema dell’immigrazione, anche se con qualche delusione per i patrioti in sala: «I partiti di destra non descrivono bene la situazione attuale. Non credo a un complotto islamista in Francia, ma a un caos etnico con scontri per esempio tra marocchini e ceceni. Ci sono nuovi immigrati da Paesi più lontani di quelli africani che stanno complicando lo scenario. È una situazione interessante, nel mio libro per esempio parlo di alcuni scontri interni ai musulmani. Non stupisce poi che in Inghilterra la scorsa estate ci siano state delle rivolte contro gli immigrati. Del resto gli inglesi si sono ribellati a Hitler».
L’Occidente per Houellebecq soffre anche una crisi sociale: «La difficoltà di vivere è dovuta al fatto che forse ci chiediamo troppo, si cerca sempre qualcosa di meglio e non sempre è possibile averlo. Così sorgono delle frustrazioni. Un rallentamento generale non sarebbe male». Lo scrittore affronta mal volentieri lo scandalo del suo video porno: «Non avrei mai pensato di essere oggetto di un ricatto. Non sono uno sportivo o un attore. Un collettivo di artisti falliti e odiosi mi ha ingannato. Questo episodio mi ha fatto venire voglia di scrivere un romanzo su una battaglia legale, che se non coinvolge personalmente è molto avvincente. Ammiro Emmanuel Carrère perché ne ha già scritto uno sul tema, anzi sono un po’ geloso di lui. D’altra parte è il mio scrittore preferito, per cui mi ispirerò».
La letteratura, ammette, «non ha sempre valore terapeutico, ma ho ancora voglia di scrivere. Non so però se “voglia” sia la parola giusta, perché a volte è doloroso e pure una necessità. Se non scrivo qualcosa di compiuto poi diventa un’ossessione».
Una riflessione la dedica anche all’amico Gérard Depardieu, accusato di stupro: «Sono convinto che ne uscirà pulito, anche se il mondo del cinema lo ha già condannato perché pieno di vigliacchi. Non è diverso forse da quello della letteratura».
E chissà se Houellebecq fosse stato una donna come sarebbero andate tutte le polemiche in cui è rimasto coinvolto: «Avrei riscosso maggiore empatia. A volte si dimentica che anche gli uomini possono subire violenze, per esempio nelle prigioni e nelle caserme. Io misogino? No, ma potrei accettare di essere definito macho. In un litigio se una donna piange il misogino si arrabbia, mentre il macho si intenerisce».
Un ricordo infine per il cagnolino Fox del suo romanzo La possibilità di un’isola: «A lungo ho sostenuto associazioni per gli animali. I cani sono come isole che incoraggiano all’amore. È incredibile quanto ci amino». E con questa tenerezza finale si completa il ritratto della solitudine dell’Occidente.