La Stampa, 15 ottobre 2024
Parla Edi Rama
«Questi migranti che arrivano sulle nostre coste sono esseri umani. L’accordo con l’Italia garantirà un meccanismo sicuro e conforme alle procedure. In una parola umanitario». Edi Rama “l’europeo”. Il premier albanese è in tour, prima a Berlino per il vertice sui Balcani occidentali, poi a Lussemburgo, per discutere nuovi capitoli dell’adesione del suo Paese all’Ue, mentre i migranti deportati dall’Italia si dirigono verso l’Albania. E non vuole sentir parlare di “diritti violati”.
La prima nave di migranti è in arrivo domani, al porto di Shëngjin. Che impressione le fa un’imbarcazione carica di migranti dall’Italia, che sbarca sulle coste albanesi?
«Nessuna differenza rispetto a quella che mi fa da anni quando guardo in tv gli sbarchi a Lampedusa o altrove. Gente in cerca di una nuova vita, che probabilmente ha pagato carissimo ai trafficanti il prezzo di un viaggio pericoloso. Sono esseri umani che devono essere accolti, registrati e sistemati in centri d’accoglienza costruiti secondo gli standard Ue, per poi passare l’iter procedurale della richiesta d’asilo in Italia in condizioni sicure e corrette dal punto di vista umanitario. Tutto un lavoro che sarà svolto dalle autorità italiane».
Per ora, saranno pochissimi i migranti, una quindicina. Lei ha detto in un’intervista a Reuters che bisogna ancora verificare se il “modello Albania” funziona. Cosa intende? Teme sia un flop?
«Ho detto una banalità: ogni nuovo modello va testato. Non vedo nulla da temere, forse anche perché non siamo coinvolti nella fattibilità di questa operazione, che ripeto è sulle spalle dello Stato italiano».
Quali criticità possono nascere?
«Non mi sento di fare speculazioni».
Gliele suggerisco io. Oggi le autorità italiane hanno detto che, se dovesse verificarsi un’epidemia nel centro, un incendio, o se qualcuno scappasse, c’è un accordo con l’Albania per attivare le vostre forze dell’ordine: polizia locale, ospedali, vigili del fuoco. Quanto siete coinvolti?
«Certo, accadrà così come dice lei. E non sarebbe neanche una novità questa cooperazione, perché collaboriamo da tanti anni con l’Italia a tanti livelli che riguardano la sicurezza, la lotta contro i traffici e la criminalità, la giustizia. Ci è successo anche di collaborare nel nostro territorio quando ci sono state situazioni di crisi gravissime negli anni Novanta, oppure ultimamente quando i vostri vigili del fuoco furono i primi ad arrivare dopo il tremendo terremoto dell’inverno di cinque anni fa per salvare vite albanesi, rischiando le loro».
L’articolo 6 del Protocollo d’intesa Italia-Albania dice che il controllo del perimetro esterno del centro spetta alla parte albanese. Dunque, quanti poliziotti saranno coinvolti?
«Non accadrà nulla di speciale, basterà e avanzerà l’organizzazione attuale della polizia nel territorio. Non dimenticate che l’Albania è un Paese sicuro, dove c’è il tasso più basso di furti in casa in Europa e un altissimo livello di sicurezza per strada, di giorno e di notte, cosa che impressiona positivamente anche i turisti italiani».
Il contratto parla delle funzioni del centro: “Accertamento dei presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale dei migranti” e “rimpatrio” dei non aventi diritto di asilo. Prevedete l’utilizzo di aeroporti e porti albanesi per i rimpatri? Altrimenti, i migranti dovranno essere riportati in Italia.
«Il protocollo è stato scritto da un team di esperti italiani e albanesi con tutte le conoscenze necessarie in materia. Vedremo sul resto».
Sempre da Protocollo: “Entro 90 giorni”, l’Italia dovrà accreditare la somma di 16,5 milioni nel conto speciale di tesoreria appositamente costituito dalla Parte albanese”. Sono arrivati i soldi? Poi ci sono 100 milioni di fondo di garanzia, che Roma deve versare. Ci aggiorna sulle assicurazioni anche economiche che abbiamo dato a Tirana?
«Queste sono garanzie contrattuali di natura legale che sicuramente sono verificate da coloro che, per dovere istituzionale, lo devono fare. Di certo non è né mio dovere né parte delle mie curiosità mettere il naso nei doveri altrui. Mi bastano i miei doveri istituzionali, e non c’è quello di ispettore dei conti dello Stato».
Quale indotto sta creando a Lezha e dintorni il centro italiano? Economico, prima di tutto (affitti degli alloggi, ristoranti…).
«Non abbiamo ancora fatto un’analisi del genere».
In termini di posti di lavoro? E l’impatto sociale?
«Vedremo tutto quando sarà operativo, anche se capisco la vostra fretta di chiedere tutto prima che accada».
Lei ha detto no alla Germania, non accoglierà in Albania i profughi di Berlino. Ha detto anche che, “se il modello italo-albanese” funzionerà, auspica che altri Stati Ue replichino la costruzione di centri analoghi nei Balcani occidentali, per esternalizzare l’accoglienza europea. Ci spiega meglio cosa intende?
«Non so se sia replicabile il modello: non vedo un’altra relazione di vicinanza e amicizia tra un Paese membro Ue e un Paese candidato, come tra Albania e Italia, che sono come una coppia di fatto. Vedremo».
L’accettazione dei centri per migranti potrebbe essere una delle condizioni per entrare nell’Ue, come vuole Orban?
«Non c’entra questo. Chi lega questa storia di cooperazione tra Italia e Albania al percorso della nostra adesione all’Ue non conosce il processo d’adesione. È un processo di riforme e misure, per adottare un sistema legislativo e costruire un intero assetto istituzionale all’interno del corpus legislativo dell’Unione Europea, conosciuto come “acquis comunitario”. E l’Ue semplicemente non può fare né regali né ricatti di questa natura per facilitare o impedire l’adesione a uno Stato candidato».
Quali novità sulla vostra candidatura per l’ingresso nell’Unione Europea, dopo il vertice di Berlino di ieri? Tajani ha dichiarato di “volere fortemente” una rapida integrazione dei Balcani occidentali nell’Ue. Vi ha rassicurato?
«Nessuno può promettere nulla a nessuno. C’è una montagna da scalare, facendo uno per uno tutti i passaggi scritti nella road map dell’adesione. E stiamo facendo esattamente questo, per modernizzare il nostro Paese per i nostri figli, non perché ce lo chiedono a Bruxelles o a Berlino o altrove. Proprio perché lo stiamo facendo bene, saremo domani (oggi per chi legge, ndr) in Lussemburgo, per la seconda conferenza intergovernativa con l’Ue, dove apriremo cinque capitoli dei negoziati, chiamati “I Fondamentali”».
L’ultima volta che ha sentito Meloni?
«Questa è una curiosità che purtroppo non posso soddisfare. Ci sentiamo quando c’è da parlare per varie ragioni di lavoro, e sono contentissimo della sua attenzione a tutti gli impegni presi tra i due governi».
Quanto ci vorrà prima che l’Albania entri nell’Ue?
«Non ho la palla di cristallo e neanche so leggere il fondo del caffè turco. Questa risposta non la sa dare, oggi come oggi, nessuna anima viva. Quello che so per certo è che l’Albania avrà scalato tutta la montagna prima della fine di questo decennio, e busserà a testa alta alla porta del Consiglio Europeo. Poi, là dentro, dovranno mettersi d’accordo in 27 per farci sedere, e su quella questione non è mai una buona idea fare previsioni sul calendario».