Libero, 15 ottobre 2024
Nel 2023 21 morti in monopattino e 700 pedoni e ciclisti
La bicicletta riversa sull’asfalto. È accartocciata, le ruote sono sformate, il sellino è volato via. A fianco ci sono ancora le scarpe di chi la stava utilizzando: la polizia stradale le ha cerchiate con un gessetto bianco, sono state fotografate, forse finiranno in un faldone per il tribunale. Poi un monopattino completamente distrutto. Coi cavi che escono dalla batteria, il manubrio bloccato. E l’area transennata a pochi passi dalle strisce. Sono le fotografie, sono tante (se le metti tutte assieme arrivi ipoteticamente a quasi 700 scatti), degli incidenti stradali che solo l’anno scorso, nel 2023, hanno mandato al Creatore altrettanti pedoni e ciclisti.
Una buca inaspettata. La perdita di equilibrio. Una macchina che sfreccia dove non dovrebbe e va più forte di quel che è consentito. Il camion con l’angolo cieco. La sfiga, perché c’è pure quella. I passanti morti mentre erano in giro a piedi sono stati (purtroppo) 485, per ironia della sorte gli stessi delle rilevazioni del 2022; gli amanti della due ruote a pedali 212 (con un rialzo del 3,4%, spaventoso – dodici di loro al momento dell’impatto con l’asfalto erano in sella a una bici elettrica); i conducenti di monopattini 21 (che detta così forse è la cifra che impressiona di meno, ma è invece quella che aumenta di più: più 31,3% in appena dodici mesi, un’ecatombe).
È l’Aci (l’Automobil club italiano) assieme all’Istat che fa il punto. Percentuali, dati che presi in questo modo sembrano un elenco asettico di tabelle e numeri, ma che sono molto altro. Sono storie, vite (spesso spezzate), ragazzi e ragazze che tornano a casa dopo la disco, bimbi che stanno andando a scuola, famiglie in vacanza. Sono 456 sinistri al giorno che fanno 8,3 decessi al dì (di media, il computo complessivo supera i 3mila – 3.039).
Sono 166.525 episodi con lesioni a persone (lo 0,4% in più dell’anno prima) e 224.634 feriti (ancora, lo 0,5% in più del periodo precedente – 615 soccorsi ogni ventiquattr’ore). Ma sono anche le strade pericolose di Venezia (dove la conta degli incidenti mortali è più alta che altrove, più 26), di Bologna (più 21), di Milano e di Reggio Calabria (entrambe ferme a più venti), e della piccola Biella (rialzo accertato del più 233%) seguita da Vibo Valentia (più 200%). Sono, al contrario, le carreggiate più sicure, quelle di Padova (meno 26 morti), di Novara (meno 23), di Alessandria e di Torino (meno 19).
In tredici province (su 110) l’indice di mortalità è raddoppiato rispetto alla media nazionale (che si assesta all’1,82): a Nuoro è di 6,25, tanto per dare i numeri (quelli tragici, però). Il 73,3% degli incidenti riguarda le strade urbane, il 21,4% quelle appena passata la città e (sorpresa) la super-velocità dei 130 chilometri all’ora, quelli concessi in autostrada, vale “appena” (si fa per dire) nel 5,3% dei casi.
Contrariamente a quel che si possa pensare la velocità sostenuta non è la prima causa di morte per chi si mette al volante (non è nemmeno la seconda, è a malapena la terza e vale poco oltre gli otto sinistri su cento): fanno più danni la disattenzione alla guida (vedi alla voce squillo del cellulare) che viene implicata il 15,1% delle volte e il mancato rispetto della precedenza, un altro 12,9%.
Tutto questo (morti, macchine sfasciate, ambulanze con le sirene spiegate, processi, ricoveri, fratture) ha un costo sociale che sì, è il meno quando nel frattempo hai perso una persona cara o ti sei spaventato così tanto da non pensare ad altro, però no, non si tratta di bruscolini e via andare, la stima oscilla intorno ai diciotto miliardi di euro, ossia a un singolo punto di Pil. Hai detto niente.