Libero, 15 ottobre 2024
Tavares: «Non escludo licenziamenti»
«Non escludo il ritorno» diceva il compianto Franco Califano. Ma su questo punto non dovrebbero esserci dubbi, perché sembra ormai chiaro che Carlos Tavares nel 2026 lascerà Stellantis. Il problema è quello che il manager intende fare nel suo ultimo periodo di gestione. E qui le preoccupazioni aumentano, perché Tavares dopo essersi presentato in Parlamento per chiedere altri soldi pubblici, prendendosela col destino cinico e baro che ha messo in crisi l’automotive, ieri ha deciso di passare alle maniere forti. E se il ritorno è escluso, i tagli al personale e addirittura la chiusura di alcuni stabilimenti non lo sono affatto.
In occasione del Salone dell’auto di Parigi Tavares ha dato fuoco alle polveri, prima con un’intervista a Les Echos, in cui spiega che se i Cinesi prendono il 10% del mercato europeo i nostri produttori dovranno chiudere almeno 7 impianti. Poi, a domanda diretta sui licenziamenti per ridurre il costo del lavoro, al margine del salone, dice: «Non posso escludere nulla». È solo l’inizio di una giornata difficile per il manager, che, bersagliato dai giornalisti, parla a ruota libera: «Altri hanno creato il caos e voi chiedete a me di risolvere la situazione e di garantire posti di lavoro. Non sono un mago, sono un essere umano come voi». Che non fosse proprio un mago qualcuno aveva iniziato a sospettarlo negli ultimi mesi, visti i pessimi risultati sulle vendite (sempre due o tre volte peggiori dei competitor). Ma ora è lui a dirlo, ammettendo anche di «aver fallito il piano di marketing americano» nel secondo trimestre. «Abbiamo provato qualcosa di innovativo, ma non ha funzionato», dice, rivelando quello che ormai è un segreto di Pulcinella, soprattutto per il potente sindacato Uaw, tornato sul piede di guerra.
Più Tavares parla e più la situazione peggiora. Il manager è riuscito persino a scatenare la sinistra contro gli Elkann, finora tenuti prudentemente al riparo (anche dal leader della Cgil, Maurizio Landini) per non perdere il sostegno prezioso dei giornali del gruppo Gedi (controllato dalla exor degli eredi Agnelli), Repubblica e Stampa. Di fronte alle minacce del numero di uno di Stellantis, però, le opposizioni ora chiedono di chiamare in Parlamento, dopo Tavares, pure John Elkann. Come se Camera e Senato fossero un commissariato dove convocare i sospettati di un reato. Come se gli applausi della sinistra alla nascita di Stellantis e il sostegno incondizionato al green deal e alla lotta alle auto inquinanti non fossero parte del problema.
Per capire come ragiona ormai il capo azienda basta guardare quello che sta succendendo con la Grande Panda, spacciata come orgoglio del made in Italy malgrado sia prodotta in Serbia. Volete sapere dove sono partiti i preordini? In Olanda e Francia, dove ancora ci sono incentivi da rastrellare. L’Italia, patria della Panda, può aspettare.
Quanto alla credibilità delle motivazioni avanzate da Tavares per giustificare il fallimento della strategia, è utile ascoltare le parole di Luca De Meo, allievo di Marchionne ora a capo di Renault: «Quattro anni fa, in un momento buio per il gruppo, abbiamo iniziato a lavorare a una rivoluzione della nostra line up. Credo che abbiamo fatto un lavoro incredibile, ora abbiamo la migliore line up che Renault ha avuto negli ultimi trent’anni». E i numeri confermano che malgrado la crisi europea dell’automotive, il gruppo se la cava molto meglio degli altri (in Italia continua ad aumentare le vendite mentre Stellantis cala a doppia cifra).
Anche da questo confronto impietoso continuano a scaturire le voci di una fusione tra Renault e Stellantis. Scenario ieri nettamente smentito dallo stesso John Elkann: «Siamo davvero concentrati sull’attività, al livello dei nostri azionisti di riferimento, del consiglio, del nostro Ceo e della squadra dirigente. Non su possibili distrazioni che verrebbero rappresentate da operazioni di consolidamento, qualunque esse siano». La concentrazione ieri ha prodotto l’ultimo tassello della girandola di nomine partita nei giorni scorsi: Antonella Bruno è stata nominata a capo dell’Italia, sotto Jean-Philippe Imparato, numero uno dell’Europa. Novità che, stando a quanto minacciato da Tavares, non sembrano in grado di invertire la rotta in tempi brevi.